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Antivirali, vaccini e vigile attesa, contro il prossimo rischio pandemia aviaria. Caruso: è fortemente possibile che accadrà

Infettivologia Redazione DottNet | 03/05/2024 16:36

"Epidemia tra i mammiferi è un passo avanti verso l'uomo, non uno ma più ceppi si stanno adattando"

Da inizio aprile gli Usa, dopo il rilevamento dell'influenza aviaria A H5N1 ad alta patogenicità negli allevamenti di bovini da latte di alcuni Stati e un collegato caso umano (un lavoratore del settore lattiero-caseario in Texas), si interrogano sul rischio di ulteriori sviluppi della situazione. Si valutano gli scenari peggiori: che il virus si evolva ancora, diventando in grado di trasmettersi da uomo a uomo. La domanda ricorrente: il Paese sarebbe pronto per una pandemia? Perché lo sia si lavora a strategie e si fa l'inventario di quali vaccini e armi terapeutiche potranno essere necessari. E l'Italia come deve muoversi? Che strumenti servono per prepararsi a fronteggiare eventuali rischi? "Antivirali, vaccini", ma non solo, spiega all'Adnkronos Salute il virologo Massimo Clementi. Parola chiave: "Vigile attesa", dice l'esperto.

"Ad oggi - fa il punto - per quanto riguarda gli antivirali abbiamo farmaci che bloccano una delle due proteine del virus, la neuraminidasi, che sono piuttosto efficaci, anche se ovviamente entrano in gioco nel momento in cui è già iniziata l'infezione.

Di preventivo c'è ovviamente il vaccino ed eventualmente anticorpi monoclonali. Questi ultimi però devono essere anticorpi monoclonali che riconoscono l'emoagglutinina" presente sulla superficie "di questo virus". In ogni caso, "abbiamo alcuni presidi piuttosto efficaci, ma bisogna conoscere il virus". E poi "c'è la possibilità di avere diverse tipologie di vaccini: il vaccino classico che si ottiene in uova embrionate è mediamente efficace ed è come quello che abbiamo utilizzato ogni anno per proteggerci nei confronti dell'influenza; più efficaci e con meno effetti collaterali sono i vaccini che sono costituiti da particelle di queste proteine, assorbite su piccole vescicole di grasso, che immunizzano il soggetto che li riceve. C'è infine sempre la possibilità, così come avvenuto per Sars-CoV-2, di sviluppare vaccini di diversa natura che però in questo momento non ci sono".

Ma per l'Italia, come per altri Paesi, "la cosa più importante in assoluto è una strategia di controllo - puntualizza Clementi - per verificare in primo luogo che cosa sta succedendo nelle specie selvatiche che arrivano da noi e non possono essere bloccate. Serve per questo monitorare, e lo fa egregiamente nel nostro Paese l'Istituto zooprofilattico delle Venezie. E poi è anche da valutare che cosa accade negli allevamenti di diverse specie, ma in questo momento c'è veramente un monitoraggio molto stretto su questo, da quelli di animali allevati per scopi alimentari fino a quelli che lo sono per scopi diversi, come visoni, marmotte e così via. Ma io su questo piano mi sento molto tutelato dalla struttura e dalla rete efficace che il nostro Paese ha, forse migliore di altri in questo caso. Certo, quando suona l'allarme bisogna essere in grado di rispondere a quell'allarme".

"Insomma - ripete il virologo, che per anni ha diretto il Laboratorio di microbiologia e virologia dell'ospedale San Raffaele di Milano - al momento la situazione deve essere di vigile attesa, non c'è oggi niente di clamorosamente pericoloso. Però queste mie parole domattina potrebbero essere smentite da un nuovo evento che cambia il quadro", avverte. "Come detto più volte, il fatto che ci sia stata una persona infettata in un allevamento non rappresenta in sé un fatto estremamente pericoloso", perché non è sinonimo di trasmissione uomo-uomo. "Rappresenta chiaramente un evento su cui porre attenzione".

Quello che sarebbe da considerare pericoloso, conclude, "è il fatto che il virus possa diventare umano. C'è un'altra possibilità: che il virus aviario mescoli il proprio genoma con altri virus influenzali, come è successo non tanti anni fa con un virus del maiale che si era mescolato geneticamente e aveva dato luogo a un nuovo virus capace di infettare l'uomo. Tanto che era stato avviato un allarme per una pandemia che poi è rientrato, perché in realtà si trattava di infezioni di modesta entità clinica".

L'aviaria sarà, dunque, la prossima pandemia? "E' fortemente possibile" secondo Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), che in un'intervista all'Adnkronos Salute non usa mezzi termini sui timori suscitati dall'epidemia che cresce tra i bovini da latte negli Usa, a causa di un ceppo altamente patogeno di virus H5N1 ritrovato in frammenti anche nel latte pastorizzato in commercio Oltreoceano. Nella comunità scientifica "la preoccupazione è grande", spiega l'esperto appena rientrato da Barcellona, dove ha partecipato al Congresso della Società europea di microbiologia clinica e malattie infettive (Escmid). "Il passaggio dell'aviaria nei mammiferi e la circolazione in questi animali - avverte - è un passo avanti verso l'uomo".

Lo specialista, ordinario di microbiologia e microbiologia clinica all'università di Brescia e direttore del Laboratorio di microbiologia dell'Asst Spedali Civili, traccia un quadro "forse pessimistico - ammette - ma purtroppo non dobbiamo mettere la testa sotto la sabbia. Bisogna invece essere realisti e prepararsi", ammonisce Caruso. Pensando a una futura emergenza pandemica, sottolinea, "il virus aviario è l'unico che preoccupa realmente" per più di una ragione. Innanzitutto perché "è un virus influenzale che in quanto tale si trasmette per via aerea, la più efficace in termini di contagio". Il patogeno, poi, è estremamente diffuso: "Lo stanno portando dappertutto le anatre selvatiche, che ormai vediamo anche nelle nostre città, nei nostri stagni, nei nostri corsi d'acqua". E sta mutando: "Non solo l'H5N1 - precisa l'esperto - ma diversi ceppi di virus aviario si stanno modificando, a livello di più recettori di superficie, per potersi adattare all'uomo. Un salto sempre più facile, dopo che è passato ai mammiferi e tra i mammiferi circola".

Siamo dunque di fronte "non a una aviaria, ma a più aviarie - puntualizza Caruso - che hanno fatto il loro ingresso nel mammifero e sono tutte potenzialmente pericolose per l'uomo. Preoccupano perché la circolazione nei mammiferi indica che il virus sta evolvendo in una direzione chiara: ha imboccato una strada che inevitabilmente, prima o poi - prospetta il presidente dei virologi italiani - porterà all'arrivo nell'uomo il quale potrà diventarne serbatoio e diffusore". Arriveremo alla trasmissione del virus dell'influenza aviaria da uomo a uomo? "E' inevitabile - risponde Caruso - che quando il virus entrerà più e più volte nell'uomo potrà assumere quella 'fitness', cioè quella capacità di adattamento alle cellule umane, che permetterà all'uomo di fare da reservoir e quindi da diffusore per altri uomini".

Al di là dei casi noti per esposizione, professionale o meno, ad animali infetti, "chissà quante volte l'uomo è già stato infettato, magari senza presentare sintomi importanti - ragiona il presidente Siv-Isv - Chissà quanti virus aviari stanno cercando di entrare nell'uomo e quante volte ci sono riusciti". Pertanto, se è vero che ad oggi per il virus aviario il contagio uomo-uomo non è mai stato confermato, "non è detto che una trasmissione uomo-uomo non sia già possibile - osserva Caruso - o che quantomeno qualche ceppo non si sia già stabilizzato nell'uomo".

Insomma, "la situazione è veramente preoccupante - è il messaggio - ed esige una sorveglianza stringente sugli animali, non soltanto i volatili, sugli alimenti di origine animale consumati dall'uomo e sugli uomini stessi. E' indispensabile farci trovare pronti, preparati a una nuova possibile futura pandemia". "E' indispensabile una sorveglianza stringente, molto attenta e molto pronta", afferma Caruso. "Vanno monitorati non solo gli uccelli, come già si fa da tempo, ma anche altri animali e gli alimenti che ne derivano, dal latte alla carne. E bisogna cominciare a fare controlli, magari a campione, anche sull'uomo". Soprattutto, "bisogna approntare in fretta dei vaccini da poter somministrare all'occorrenza. Non soltanto vaccini mirati al virus H5N1, ma anche ad altri ceppi che stanno passando ai mammiferi".

"Il virus aviario è un patogeno che si evolve facilmente e che sta mutando in modo da adattarsi non solo ai mammiferi, salto già avvenuto, ma anche potenzialmente all'uomo", rimarca l'esperto. A minacciare l'uomo "ci sono più ceppi aviari - ripete - e non sappiamo quale variante potrà prendere piede a tal punto da arrivare un giorno a stabilirsi e a circolare nell'uomo. L'H5N1 sembrerebbe la più probabile, però ce ne sono anche altre attenzionate e anche per queste dovranno essere pronti dei vaccini, se necessario. Facciamoci trovare pronti per evitare guai", ammonisce Caruso.

"Oggi controlliamo gli allevamenti di pollame e altri uccelli a rischio aviaria, e provvediamo all'eliminazione di tutti gli esemplari infetti o potenzialmente infetti", ricorda il numero uno dei virologi italiani. Ma come dimostra l'epidemia fra i bovini statunitensi, "l'infezione può stabilizzarsi anche nei mammiferi, in animali su cui i controlli per l'aviaria ancora non vengono effettuati perché non ce n'era la necessità". L'invito è quindi a estendere la sorveglianza, ad altri animali, nonché agli alimenti che ne derivano così da accertarne la salubrità". Dopo il ritrovamento di frammenti di H5N1 ad alta patogenicità nel latte pastorizzato, Caruso tiene a chiarire come sia "estremamente improbabile che il contagio possa avvenire attraverso il cibo, specie se parliamo di latte pastorizzato o carne cotta. Ma la sorveglianza è fondamentale - insiste - considerata la circolazione in animali che forniscono latte e carne".

"Ancora prima che ci sia il passaggio della circolazione virale dai mammiferi all'uomo, gli alimenti vanno dunque controllati" nell'ambito di una sorveglianza da rafforzare. Ma per lo specialista "è importantissima d'ora in poi anche la sorveglianza nell'uomo: dobbiamo capire quanto nel mondo l'aviaria sta circolando, anche a livello sub-clinico, con sintomi non significativi". Perché se il virus dovesse infettare in modo consistente gli esseri umani, il pericolo è che si adatti all'uomo fino a trasmettersi un giorno da una persona all'altra. "Non è escluso che il virus possa già cominciare a circolare - osserva Caruso - che da qualche parte del mondo si sia già stabilizzato nell'uomo. Non lo possiamo sapere perché non stiamo facendo sorveglianza, però adesso questa sorveglianza si impone, per evitare di trovarci impreparati a una possibile prossima pandemia".

Riassumendo, esorta il virologo, "dovremmo non solo sorvegliare gli animali, non solo sorvegliare i loro prodotti che vengono commercializzati a fini alimentari, ma anche organizzare un network di controllo della popolazione, anche random, per capire se il virus aviario sta già entrando e circolando in alcune enclavi a livello mondiale, oppure è ancora attesa di adattarsi all'uomo". Quanto infine a oggetti e superfici, "sappiamo che lì il virus non può sopravvivere - rassicura Caruso - Se esposto all'aria, infatti, l'involucro che lo riveste tende a seccare e il patogeno non è più in grado di infettare cellule bersaglio. E' inoltre molto sensibile a saponi e detergenti".


 

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