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Schillaci, i medici di famiglia ci aiutino sui pronto soccorso. La situazione delle Case di Comunità regione per regione

Medicina Generale Redazione DottNet | 08/12/2024 15:39

Il Ministro: "L'alternativa alle strutture di emergenza è l'assistenza sul territorio, su cui stiamo investendo con le case di comunità"

Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, fa appello anche ai medici di base per razionalizzare gli accessi ai pronto soccorso: "Ci aiutino, facciano la loro parte", è l'invito fatto in un'intervista al Messaggero. "La situazione in cui versano i pronto soccorso è una criticità cronica che abbiamo ereditato perché chi ci ha preceduto non ha mai portato a termine la riforma della medicina territoriale, una carenza che stiamo affrontando. È chiaro che se il cittadino non trova risposte sul territorio, si affida al pronto soccorso. Pronta la replica dello Snami: "I medici di famiglia non devono occuparsi delle emergenze". Si conferma, invece, un’apertura da parte della Fimmg sulla volontà dei medici di medicina generale di continuare a lavorare a testa bassa per garantire ai cittadini un’assistenza di prossimità efficace anche in un frangente così difficile com’è quello attuale.   "L'alternativa alle strutture di emergenza è l'assistenza sul territorio, su cui stiamo investendo con le case di comunità", sottolinea Schillaci.   Per quanto riguarda la loro operatività, "siamo assolutamente in linea con gli obiettivi del Pnrr che fissa a giugno 2026 la piena funzionalità delle Case di Comunità e degli Ospedali di comunità che daranno un forte contributo per alleggerire il carico sugli ospedali".

Un'affermazione che viene smentita dall'ultimo monitoraggio sulla Sanità territoriale targata Pnrr approdato sul tavolo del ministero della Salute che il Sole 24 ore ha potuto visionare: al 30 giugno 2024 risultano attive 413 Case di comunità, meno di un terzo del totale: di queste oltre la metà si trovano in Lombardia (136) ed Emilia (123). Seguono Veneto (62), Toscana (35), Piemonte (26) e Abruzzo (15). A parte qualche sparuta struttura nelle altre Regioni in ben dieci - Basilicata, Calabria, Campania, Friuli, Lazio, Bolzano, Trento, Puglia, Sardegna e Valle d'Aosta - non c'è neanche una Casa di comunità attiva.

Anche Cittadinanzattiva ha pubblicato una particolareggiata mappatura delle Case di Comunita (clicca qui per scaricare il documento completo) regione per regione. Il documento contiene, per ciascuna regione, tre tabelle (per Case, Ospedali e Cot), che riportano in ogni riga: il codice unico del progetto (CUP: codice che identifica un progetto d’investimento pubblico, ed è lo strumento cardine per il funzionamento del Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici), la localizzazione del progetto (provincia, comune, indirizzo e ASL di appartenenza), l’avanzamento della Stipula del contratto (se conclusa o meno, e relativa data). Ciascuna tabella riporta inoltre, in testata, il numero complessivo di strutture previste, e la percentuale di quelle che hanno concluso la Stipula. Le case di comunità sarebbero molto utili visto che in queste nuove strutture - aperte dalle 12 alle 24 ore sette giorni su sette - si dovrebbero trovare visite, esami, vaccinazioni, educazione sanitaria e tutte le attività di prevenzione oggi sparse in mille rivoli nelle Asl. Servizi più vicini a casa che eviterebbero a molti di dover ricorrere, come troppo spesso accade, ai pronto soccorso per avere una risposta.

Il monitoraggio mostra come il vulnus più grande sia la presenza ancora molto limitata di personale medico: in ben 120 Case di comunità delle 413 attive non è prevista neanche l'attività di medici di assistenza primaria e in 137 non ci sono pediatri, rispettivamente in 58 e 69 medici e pediatri sono presenti meno di 30 ore a settimana mentre in 60 e 66 sono presenti tra 30 e 49 ore. Soltanto in 175 Case di comunità la presenza di medici è prevista tra 50 e 60 ore a settimana e in 141 quella dei pediatri. Come a dire che al momento in queste strutture che dovrebbero finalmente far decollare le cure vicino agli italiani ci sono essenzialmente servizi infermieristici. Il problema maggiore è legato alla difficoltà attuale a trovare personale sanitario - molti bandi vanno deserti -, ma anche a convincere i medici di famiglia, che oggi sono troppo spesso isolati nei loro studi, a lavorare almeno un po' di ore nelle Case di comunità. S ono anni che si discute come “vincolarli”, ma finora tutti tentativi sono andati a vuoto. Ora l'occasione potrebbe arrivare con il prossimo accordo collettivo per la nuova convezione 2022-2024 - i medici di famiglia sono dei “liberi professionisti” -per i quali i camici bianchi sono in agitazione e chiedono più soldi. Questo potrebbe essere l'ultimo treno. Perché come ha detto recentemente il governatore della Lombardia Attilio Fontana dal meeting di Rimini “Noi le Case di comunità le stiamo aprendo ma se non c'è la disponibilità dei medici di famiglia a lavorararci chi ci mettiamo dentro?”

Intanto in Emilia-Romagna si sperimentano i Cau (Centri di assistenza urgenza), una sorta di ambulatori sul territorio alternativi al pronto soccorso: "È una delle modalità per alleggerire la pressione nei pronto soccorso - spiega Schillaci - Ma il nostro modello di riferimento organizzativo resta quello previsto dal DM 77 e sono convinto che con il pieno coinvolgimento dei medici di medicina generale nelle case di comunità, i cittadini troveranno adeguata assistenza sul territorio".   Per evitare la fuga di medici e infermieri bisogna "rendere di nuovo attrattivo il lavoro in pronto soccorso. Abbiamo rifinanziato l'indennità, aumentato la paga per le prestazioni aggiuntive, riconosciuto il lavoro usurante e approvato norme per aumentare la sicurezza. Per incentivare i giovani incrementiamo la retribuzione degli specializzandi che scelgono l'emergenza-urgenza. Senza dubbio è un percorso graduale, ma ci tengo a ricordare che per anni non si è fatto nulla".

C’è un’alta percentuale di accessi inappropriati ai Pronto Soccorso. Agenas parla del 22 per cento: “I cittadini hanno difficoltà nel trovare risposte sul territorio. Per questo il nostro massimo sforzo è quello di potenziare questi servizi e fare in modo che non si debba essere costretti ad andare in ospedale per bisogni di salute non gravi. Ma va anche detto che c’è un problema culturale che porta il cittadino a vedere il pronto soccorso come prima risposta”. E’ frustrante da ministro della Salute e da medico verificare che ci sono ancora lunghe attese sulle barelle, specialmente per i più anziani, in pronto soccorso: “È il peggior biglietto da visita che il nostro servizio sanitario possa dare. Credo che sia dovuto principalmente a un problema di organizzazione su cui alcune Regioni stanno lavorando con determinazione. Riguardo agli anziani, la via da seguire è quella di assisterli il più possibile al domicilio, salvo casi di complicanze. Il Pnrr ci pone come obiettivo un 10 per cento in più di over 65 in assistenza domiciliare e, a oggi, abbiamo già ampiamente raggiunto l’8 per cento”. Quanto a Case e Ospedali di comunità che dovrebbero offrire un’alternativa:

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