Il Tar per la Campania (sentenza n. 14 novembre 2024, n. 6225, sezione prima) ha parzialmente accolto il ricorso di FEDERLAB ITALIA e ATI Laboratori Italiani Riuniti (L.I.R.) nei confronti della Regione, del Ministero della Salute e di Federfarma
Non è predicabile l’assimilazione tra farmacie e laboratori di analisi, in quanto divergono la natura delle strutture, la funzione assolta e la conformazione dei loro compiti, esplicantisi in ambiti diversi. In particolare, la prima consiste in una struttura aziendale che svolge attività meramente commerciale di acquisto e rivendita di prodotti farmaceutici, che in detta attività trova la sua ragion d’essere, che neppure in via residuale svolge attività di diagnosi e terapia medica, che all’occorrenza può svolgere non di propria iniziativa ma su istanza dell’interessato un’attività di aiuto materiale nell’utilizzo di prestazioni terapeutiche che di regola il paziente deve essere in grado di gestire da solo.
Con questa massima, il Tar per la Campania (sentenza n. 14 novembre 2024, n. 6225, sezione prima) ha parzialmente accolto il ricorso di FEDERLAB ITALIA e ATI Laboratori Italiani Riuniti (L.I.R.) nei confronti della Regione, del Ministero della Salute e di Federfarma, e per l’effetto ha annullato il Decreto Dirigenziale della Regione Campania - Dipartimento per la tutela della Salute e il Coordinamento del sistema sanitario regionale n. 939 del 29/12/2023, per ciò che concerne l’Allegato 6 - “Accordo Attuativo per effettuare screening oncologici”, limitatamente all’art. 2 (“Utilizzo di aree, locali o strutture esterne alla farmacia”).
Ha ritenuto, al contrario, irrilevante e manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lett. e-ter) del decreto legislativo 3 ottobre 2009, n. 153, come integrato dall’articolo 1, comma 420, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, per presunto contrasto con gli articoli 3, 32 e 117 della Costituzione, nella parte in cui consente alle farmacie di eseguire “test diagnostici che prevedono il prelievo di sangue capillare” senza prescrivere apposita autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio ex articoli 8 e 8 ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
Il giudizio
La FEDERLAB (ente esponenziale degli operatori della sanità privata nella branca della patologia clinica) e l’ATI Laboratori Italiani Riuniti (operante in Campania in regime di accreditamento con il S.S.N., nel settore dei laboratori di analisi), impugnarono il decreto dirigenziale n. 939 del 29/12/2023, con cui la Regione approvò e ratificò gli accordi con le Associazioni di categoria dei titolari di farmacie pubbliche e private convenzionate, per le attività della cd. “Farmacia di Servizi”, relativamente agli allegati 5 e 6, riguardanti la somministrazione di test per l’emoglobina glicata e il quadro lipidico e l’effettuazione di screening oncologici al di fuori dei locali della farmacia.
Vennero proposti quattro motivi di ricorso, deducendo plurimi profili di violazione di leggeed eccesso di potere. La sentenza ampiamente articolata, e destinata a fare giurisprudenza, ha ripercorso la storia normativa che ha portato a dotare le farmacie ad assumere un nuovo ruolo nell’attività di prevenzione e cura delle malattie attraverso la fornitura di servizi di primo livello, rivolti all’intera popolazione (collaborazione a programmi di educazione sanitaria e a campagne di prevenzione: lett. b) e c) del cit. art. 11, co. 1) e di secondo livello, concretantesi in prestazioni a favore dei pazienti che le richiedano e, nel contempo, ha chiarito i limiti dell’erogazione di alcuni servizi ormai ampiamente diffusi nelle farmacie.
Emoglobina glicata. La platea degli assistiti ai quali può essere misurata
Il protocollo di intesa prevede che le farmacie, previa comunicazione all’ASL, possono somministrare i test per il dosaggio dell’Emoglobina Glicata (HbA1c) e del Quadro Lipidico (QLip), dopo aver accertato l’identità del richiedente e acquisito la tessera sanitaria, nonché ricevendo il suo consenso informato e valutando l’idoneità a sottoporsi ai test (Allegato 5, art. 1).
A carico delle farmacie è posto l’impegno a registrare sul software regionale l’esito dei test (art. 2).
Le stesse prescrizioni e analoghi adempimenti sono dettati per lo screening oncologico (Allegato 6, artt. 1 e 3).
Per le ricorrenti, l’apertura così ampia porterebbe a somministrare il test a tutti gli utenti oltre i confini tracciati dalla normativa di riferimento, travalicando i limiti segnati dai criteri stabiliti a livello nazionale, tesi respinta dal Tar.
Venendo al merito della questione, afferma la sentenza, va detto che il D.M. 16 dicembre 2010, laddove assegna alle farmacie la possibilità di erogare prestazioni analitiche di prima istanza mediante l’utilizzo di dispositivi per «test autodiagnostici», “in caso di condizioni di fragilità di non completa autosufficienza”, non pone in capo al farmacista la supposta inderogabile necessità di accertare l’esistenza di tali condizioni.
L’art. 1 del D.M. definisce i test autodiagnostici in quelli “gestibili direttamente dai pazienti in funzione di autocontrollo a domicilio”, ai quali si può far ricorso con l’ausilio del farmacista, qualora sia difficoltoso usarli personalmente.
Pertanto, la condizione di fragilità di non completa autosufficienza non denota uno stato di salute di cui occorra accertare la ricorrenza, prima di procedere all’erogazione della prestazione, trattandosi invero di una situazione di fatto in cui versa il paziente che, incontrando difficoltà ad autosomministrarsi il test, faccia ricorso al farmacista che lo aiuti nell’operazione materiale occorrente (cfr. TAR Lazio, cit.).
Inoltre, la somministrazione dei test è posta in stretta correlazione alla campagna di prevenzione del rischio cardiovascolare e, in quest’ottica, l’apporto delle farmacie si mostra ausiliaria ai pertinenti e specifici compiti del servizio pubblico sanitario, sotto un versante del tutto differente dall’attività delle strutture laboratoriali.
Possibilità da parte delle farmacie di effettuare il prelievo di sangue capillare
L’ulteriore punto di conflitto tra biologi e farmacisti, si incentra sul richiamo, contenuto in premessa nel decreto dirigenziale, all’art. 1, comma 2, lett. e-ter), del d.lgs. n. 153/2009, introdotta dall’art. 1, co. 420, della legge n. 178/2020 e relativo alla “effettuazione presso le farmacie da parte di un farmacista di test diagnostici che prevedono il prelievo di sangue capillare”.
A detta delle ricorrenti, questa possibilità avrebbe l’intento di riconoscere ai farmacisti non solo l’esecuzione di test di autocontrollo “autodiagnostici”, ma anche “diagnostici”, eseguibili da prelievo capillare. Obiettano che tale scelta legislativa abbia riflessi sotto il versante autorizzativo. Ciò in quanto i test di autocontrollo, ai sensi della lettera e) dell’art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 153/2009, escludono l’attività di diagnosi, laddove al contrario le prestazioni di cui alla lett. e-ter) contemplano l’elaborazione del campione da parte del farmacista, attinente alla diagnosi (come si evince dagli Accordi impugnati, ove è previsto un obbligo di refertazione da parte del farmacista: art. 6 del Protocollo n. 5, per i test di emoglobina glicata e quadro lipidico; art. 7 del Protocollo n. 6, per gli screening oncologici).
Contestano tale scelta, in quanto vengono attribuite alle farmacie funzioni di elaborazione e diagnosi proprie delle strutture di laboratorio, per le quali è necessaria l’autorizzazione ex art. 8-ter del d.lgs. n. 502/92.
Anche questa contestazione è stata respinta.
Diversamente dal prelievo di sangue venoso quello capillare è una procedura attraverso cui si raccoglie un campione di sangue, al fine di indagare lo stato di salute, il cui esame è effettuato in laboratorio. Per i farmacisti resta fermo il divieto di “attività di prescrizione e diagnosi, nonché il prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe o dispositivi equivalenti”, ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. e), del d.lgs. n. 153/2009 e dell’espressa previsione dell’art. 1, co. 2, del D.M. 16/12/2010 (“è vietato l’utilizzo di apparecchiature che prevedano attività di prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe o dispositivi equivalenti, restando in ogni caso esclusa l’attività di prescrizione e diagnosi”).
La possibilità di effettuare il prelievo di sangue capillare si lega alla raccolta del dato sanitario, consentendo al farmacista il prelievo di sangue capillare, con un dispositivo che emette lo scontrino con i valori riportati. Va così intesa la “refertazione” a cui è fatto solo incidentalmente riferimento negli Accordi, che affidano al farmacista i compiti di registrare il paziente sulla piattaforma informatica, effettuare il test e refertarlo, conservando la documentazione (Allegato 5, art. 6; Allegato 6, art. 7).
Non vi è alcuna “invasione di campo”, afferma la sentenza, può quindi desumersi dalla previsione di legge, che non sottrae affatto ai laboratori autorizzati le funzioni ad esse spettanti e disimpegnate con figure professionali specifiche, quali biologi e chimici.
Lo spazio separato per i test diagnostici non è spazio all’aperto
La sentenza ha accolto l’osservazione in merito alla possibilità di utilizzare spazi esterni alla farmacia, La possibilità di utilizzare spazi esterni alla farmacia, afferma la sentenza, per la somministrazione del test colon-retto per la rilevazione di sangue occulto nelle feci, si mostra allo stato priva di copertura legislativa e insuscettibile di essere introdotta con un atto amministrativo. Sul piano dell’interesse che muove le ricorrenti, va precisato che tale possibilità ne lede le prerogative, in quanto invasiva delle funzioni dei laboratori di analisi, disimpegnate in strutture dotate dei requisiti impiantistici e strutturali, mentre sono assenti per le farmacie prescrizioni che assicurino l’idoneità dei locali (e che, inoltre, garantiscano il corretto equilibrio della rete delle farmacie). Ciò posto, l’indicazione secondo vadano utilizzati “spazi dedicati e separati dagli altri ambienti” (art. 4, cit.) non può essere altrimenti riferita che a locali interni alla farmacia, non autorizzando l’applicazione di quanto diversamente previsto dall’art. 1, co. 2, lett. e-quater), del d.lgs. n. 153/2009.
È pacifico, secondo i giudici, che l’uso all’aperto, fu autorizzato per la somministrazione presso le farmacie, “di vaccini anti SARS-CoV-2 e di vaccini antinfluenzali (art. 2, co. 8-bis, del D.L. 24 marzo 2022, n. 24, convertito con modificazioni dalla legge 19 maggio 2022, n. 52), nonché per l’effettuazione di test diagnostici che prevedono il prelevamento del campione biologico a livello nasale, salivare o orofaringeo, da effettuare in aree, locali o strutture, anche esterne, dotate di apprestamenti idonei sotto il profilo igienico-sanitario e atti a garantire la tutela della riservatezza”.
Per le altre prestazioni, il D.M. 16/12/2010 stabilisce che: “le farmacie pubbliche e private, per l’effettuazione delle prestazioni e l’assistenza ai pazienti che in autocontrollo fruiscono delle prestazioni di cui agli articoli 2 e 3, utilizzano spazi dedicati e separati dagli altri ambienti, che consentano l’uso, la manutenzione e la conservazione delle apparecchiature dedicate in condizioni di sicurezza nonché l’osservanza della normativa in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in base a linee guida fissate dalla Regione” (art. 4).
Esclusivamente in tali casi è consentita l’effettuazione delle prestazioni “in aree, locali o strutture, anche esterne, dotate di apprestamenti idonei sotto il profilo igienico-sanitario e atti a garantire la tutela della riservatezza”.
Tariffe. Disparità di trattamento tra farmacie e laboratori d’analisi
La sentenza analizza anche il tema della disparità di trattamento tra farmacie e laboratori d’analisi nel punto in cui i censurati Accordi prevedono la remunerazione di tariffe superiori a quelle stabilite per le strutture accreditate, in spregio a principi concorrenziali, secondo i biologi, e attuando una distorsione del mercato delle prestazioni, peraltro a vantaggio di farmacisti meno qualificati rispetto ai biologi o ai chimici.
Nel caso di specie va ribadita, afferma la sentenza, differenziazione tra le prestazioni della “farmacia di servizi” e dei laboratori di analisi, che ne esclude l’equiparazione. Per il finanziamento della sperimentazione riguardante le prestazioni erogate dalle farmacie di servizi – attuata in 9 Regioni (cfr. art. 1, co. 404, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, che risulta avviata in Campania nel 2020) – è stata autorizzata la spesa di € 6 miliardi per l’anno 2018, € 12 miliardi per l’anno 2019 e € 18 miliardi per l’anno 2020, a valere sulle risorse di cui all’art. 1, co. 34 e 34-bis, della legge n. 662/1996 (art. 1, co. 406, legge cit.).Trattasi dunque di una forma speciale di finanziamento, afferma la sentenza, che rende incomparabili le situazioni rappresentate, privando le ricorrenti dell’interesse a contestare la remunerazione di tariffe che scaturiscono dall’applicazione di una disciplina alla quale esse sono estranee (a prescindere dalle differenti condizioni, in termini di costi, posti in luce dalla Regione nell’esibita nota della Direzione Generale dell’11/4/2024 prot. 185996).
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