Lo studio ha evidenziato un’alterazione dei livelli trascrizionali degli interferoni di tipo I in bambini e adolescenti con sindrome da long COVID a partire dai 3/6 mesi dalla guarigione dal SARS-CoV-2
Affaticamento, cefalea, dispnea, anosmia e disturbi gastro-intestinali, sono alcuni degli effetti a lungo termine dell'infezione da Sars-CoV-2 che alcuni pazienti ancora lamentano. “Il long COVID è una sindrome caratterizzata dalla persistenza di segni clinici e sintomi correlati all'infezione da SARS-CoV-2. A oggi manca ancora una chiara comprensione dei meccanismi immunopatogenetici alla base di questo fenomeno” ma un nuovo studio pubblicato sulla rivista European Journal of Immunology, frutto della collaborazione tra la Sapienza di Roma e la Johns Hopkins University di Baltimora, ha consentito di fare qualche passo in avanti nella comprensione dei meccanismi alla base della persistenza dei sintomi associati all’infezione da SARS-CoV-2 anche in età pediatrica.
In particolare, i gruppi di ricerca coordinati da Guido Antonelli del Dipartimento di Medicina molecolare e Fabio Midulla del Dipartimento di Pediatria e neuropsichiatria infantile della Sapienza, entrambi impegnati come direttori di Unità presso l’AOU Policlinico Umberto I, hanno valutato il coinvolgimento del sistema degli interferoni - molecole prodotte naturalmente dalle cellule in risposta a infezioni virali - nello sviluppo e nella persistenza dei sintomi associati al Long COVID in età pediatrica, anche a distanza di tempo dall’infezione.
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