Per alcune categorie di medici è possibile continuare a lavoare senza limitazioni. Più complessa la situazione per quota 100,102 e 103
Quello della pensione è un traguardo agognato da tutti, e quindi anche dai medici e dagli odontoiatri. Nella maggior parte dei casi, però, questi professionisti non lo identificano con il dolce far niente o il dedicarsi completamente alla propria vita privata, quanto piuttosto con il continuare ad esercitare la propria attività più liberamente, senza particolari vincoli di orario, in tranquillità e con una base reddituale garantita. Ma si può sempre pensare di proseguire il proprio lavoro dopo aver raggiunto la pensione?
Generalmente la risposta è sì, ma ci sono eccezioni o limitazioni in funzione sia del tipo di pensione percepita sia del reddito eventualmente prodotto.
Per le categorie come quella medica ed odontoiatrica il mantenimento dell’iscrizione all’Albo professionale dopo il pensionamento, a fronte della conferma degli obblighi di pagamento all’Ordine, comporta di norma la possibilità di svolgere senza alcuna limitazione l’attività libero professionale, continuando a corrispondere all’Enpam la relativa contribuzione, con aliquota ridotta della metà.
Non è così, però, per i medici ex dipendenti pensionati con Quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi), 102 (64 anni di età e 38 di contributi) e 103 (62 anni di età e 41 di contributi). Per loro è infatti stato reintrodotto per legge il divieto di cumulo con altri redditi da lavoro (dipendente o autonomo) nel periodo che intercorre tra la decorrenza della pensione e il raggiungimento del requisito anagrafico richiesto per la pensione di vecchiaia, cioè attualmente 67 anni. La percezione di eventuali redditi da lavoro determina la sospensione della pensione, con l’unica eccezione dei redditi da lavoro occasionale di importo non superiore a 5.000 euro lordi annui. A partire dai 67 anni, questo vincolo decade e si può tornare normalmente a svolgere la propria attività. Meglio allora, avendone la possibilità, accedere alla pensione anticipata con cumulo contributivo, che non prevede alcun vincolo per l’attività autonoma.
Altra importante limitazione, in questo caso derivante dagli Accordi Collettivi Nazionali di categoria, riguarda i medici convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, in primis medici di famiglia e specialisti ambulatoriali. Se vogliono transitare da una categoria all’altra (cioè se un generico vuole passare alla specialistica o viceversa), ciò è possibile soltanto se non sono già percettori di pensione. E questo è anche il motivo per cui, se vogliono attendere i 70 anni per lasciare la convenzione, dovranno chiedere insieme entrambi i trattamenti, anche se a 68 anni avrebbero comunque avuto diritto alla pensione di vecchiaia sulla gestione interrotta in precedenza.
Stesso discorso anche per i pensionati ex dipendenti ospedalieri, che si trovano anch’essi con la strada sbarrata dagli accordi convenzionali e pure dalla legge (il decreto Madìa del 2012). Sono invece compatibili con il conferimento della convenzione la percezione della pensione del Fondo generale dell’Enpam (Quota A e Quota B) e l’utilizzo del recente istituto della APP (Anticipo della Prestazione Previdenziale), che consente ai convenzionati di far posto ad un giovane collega riducendo il numero dei mutuati ovvero delle ore di servizio e percependo una pensione parziale. Vale la pena infine di ricordare che, fatta sempre eccezione per i pensionati con le Quote 100, 102 e 103, l’emergenza Covid ha consentito alle Asl di richiamare in servizio con contratti al massimo semestrali i medici in quiescenza di qualunque categoria; essi possono cumulare il compenso con la pensione. Le norme relative sono state prorogate fino al 31 dicembre 2023.
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L’integrazione, in Enpam, è curata dal Servizio Trattamento Giuridico e Fiscale delle Prestazioni, dell’Area della Previdenza.
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