In una fase di emergenza sanitaria imposta dalla malattia infettiva si devono prendere decisioni rapide in un clima caotico di incertezza e di scarsa conoscenza
Il beta-corona virus SARS-CoV2 responsabile causativo della pandemia COVID-19 è colpevole, e spesso in concorso con altre condizioni morbose o predisponenti, della morte di oltre sei milioni in tutto il mondo (di cui circa 170.000 in Italia) dal novembre 2019 a oggi. Non solo, la pandemia COVID-19, per come si è presentata e per come è stata rappresentata, ha determinato uno sconvolgimento nella vita sociale con restrizioni dei comportamenti sociali e contrazioni delle libertà individuali. Ma, soprattutto, ha evidenziato le carenze organizzative dei sistemi sanitari e i limiti conoscitivi degli scienziati. In questi ultimi mesi, molte altre malattie infettive stanno (ri)comparendo sulla scena prefigurando situazioni di emergenza sanitaria, e verosimilmente per queste sarà riproposto lo stesso schema di gestione (management) sperimentato per la COVID-19. Infatti, gli esperti e consulenti governativi sono favorevoli a che la modalità con cui si è e si sta affrontando la COVID-19 diventi il protocollo standard per gestire le prossime epidemie e pandemie, sotto la supervisione (e il comando) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: confinamento delle aree infette (lock-down), quarantena dei soggetti infetti, protezioni individuali e distanziamento sociale, vaccinazione di massa.
In una fase di emergenza sanitaria imposta dalla malattia infettiva si devono prendere decisioni rapide in un clima caotico di incertezza e di scarsa conoscenza, ed è accettabile (se non comprensibile) che si attui un lock-down generalizzato in attesa che sia disponibile un vaccino, e che poi si proceda alla vaccinazione di massa "senza se e senza ma". Tralasciamo il fatto che l’epidemia/pandemia era preventivabile e che la COVID-19 non ci avrebbe colti impreparati se avessimo aggiornato il piano pandemico facendo tesoro delle precedenti epidemie da beta-coronavirus (come il compianto collega Dott. Carlo Urbani ci aveva ammoniti con il suo personale sacrificio sin dal 2003).
Che cosa abbiamo imparato in questi due anni, e come possiamo far tesoro delle conoscenze acquisite in tema di malattia e di vaccino al fine di meglio gestire anche le prossime pandemie? Viviamo una epoca straordinaria in cui le biotecnologie cosiddette "omiche" hanno rivoluzionato il modo di individuare la causa di malattia e il malato e il modo di curarlo secondo i criteri della medicina personalizzata e di precisione (1). Tralasciamo i rischi derivanti dall’affidarsi totalmente e acriticamente all’iper-tecnologia diagnostica, e tra questi il rischio di attribuire l’etichetta di malato asintomatico con il rischio implicito di iper-curare. Vediamo come invece possiamo avvalerci delle biotecnologie omiche per meglio comprendere la patologia e come funzionano i vaccini per ottimizzarne l’efficacia e al tempo stesso limitarne i possibili effetti indesiderati. Tutto ciò nell’ottica di passare da una vaccinazione di massa, che, come detto, trova giustificazione nel momento emergenziale, ad una vaccinazione personalizzata che invece deve essere adottata laddove ci sia il tempo e la conoscenza necessari. Che in fondo è questo che ci viene comandato secondo il precetto ippocratico di "curare il malato secondo scienza e coscienza".
Eppure, sorprendentemente a oggi sono ancora pochi gli studi di genomica ed epigenomica della COVID-19, e quei pochi disponibili non sembra trovino riscontro nei consessi di quegli esperti dei CTS istituzionali (di AIFA e ISS) che poi determinano la gestione sanitaria della pandemia. Per esempio, gli studi di "genome-wide association" e di "epigenome-wide association" hanno permesso di identificare quei pazienti COVID-19 particolarmente soggetti a sviluppare la polmonite interstiziale in forma grave (2,3,4).
Parimenti, e con grande disappunto, vengono completamente disattesi gli studi (peraltro ancora troppo pochi) di vaccinomica e di adversomica che permetterebbero di definire il profilo dei candidati che meglio potrebbero avvantaggiarsi della vaccinazione anche a fronte di un rischio di evento avverso prevedibile e dunque curabile per tempo (5,6).
I vaccini correntemente in uso su base genetica (a mRNA e a DNA) sono a loro volta disegnati secondo i criteri e le tecnologie dettate dalla genomica e immunomica. L’efficacia di questi vaccini nel prevenire i danni gravi dell’infezione da SARS-CoV2, esemplificata dalla produzione di anticorpi IgG protettivi, è purtroppo di breve durata (circa due-quattro mesi), e in alcuni gruppi di pazienti (immunocompromessi oppure in terapia con immunosoppressori) è così scarsa da richiedere somministrazioni multiple ravvicinate (7,8). Bisogna allora tener conto dei rischi di eventi avversi anche gravi nel breve e nel lungo termine che possono palesarsi, soprattutto in alcuni soggetti suscettibili, a seguito delle continue sollecitazioni del sistema immunitario dato dalle vaccinazioni multiple e ravvicinate (9,10). Anche in questo caso, ci si può avvalere delle biotecnologie omiche per profilare i biomarcatori genetici ed epigenetici associati al rischio di sviluppare eventi avversi a seguito della vaccinazione. Ancor più rilevante, è la possibilità offerta da queste tecnologie in combinazione con altri parametri sierologici e clinici di profilare i soggetti che più di altri avrebbero necessità di essere vaccinati con beneficio, escludendo la platea di quelli (per esempio i guariti) che invece non trarrebbero beneficio in quanto già protetti e non particolarmente suscettibili a sviluppare la malattia in forma grave e che sarebbero facilmente curabili con le terapie disponibili. In conclusione, è auspicabile che nell’immediato futuro si facciano gli investimenti necessari nelle biotecnologie omiche al fine di sfruttarne tutte le potenzialità per mettere a punto una medicina personalizzata della COVID-19, ed anche delle prossime pandemie (11,12,13).
Ciro Isidoro
Professore Ordinario di Patologia Generale e Immunologia, Scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale (Novara)
Bibliografia
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