La suscettibilità ai virus respiratori come l'influenza è ereditabile ed è nota per essere associata a specifiche varianti genetiche
La suscettibilità alle infezioni pericolose per la vita e le malattie immuno-mediate sono entrambe condizioni fortemente ereditabili. In particolare, la suscettibilità ai virus respiratori come l'influenza è ereditabile ed è nota per essere associata a specifiche varianti genetiche. Gli studi sull'intero genoma hanno il potenziale per rivelare i meccanismi molecolari che potrebbero essere alla base delle situazioni di criticità nei pazienti con COVID-19 e che quindi potrebbero fornire nuovi bersagli terapeutici per modulare la risposta immunitaria dell'ospite e promuovere la sopravvivenza.
Una forte evidenza indica che la forma grave della malattia causata da COVID-19 è qualitativamente diversa da quella lieve o moderata. Esistono infatti molteplici fenotipi distinti di malattia, con differenti modelli di sintomi e marcate risposte differenziali alla terapia immunosoppressiva. Nei pazienti senza insufficienza respiratoria pare ad esempio che il trattamento con corticosteroidi sia dannoso, mentre tra i pazienti con grave insufficienza respiratoria vi è un beneficio sostanziale della terapia.
Questa è la base da cui parte lo studio di Eroila Pairo Castineira pubblicato sulla rivista Nature:
i pazienti con grave insufficienza respiratoria da COVID-19 mostrano una fisiopatologia distinta.
Lo studio è stato condotto nel Regno Unito, su un gruppo di pazienti ricoverati in terapia intensiva con una profonda insufficienza respiratoria ipossiemica. Il processo patologico attivo in questi pazienti era caratterizzato da infiammazione polmonare, danno alveolare diffuso, afflusso di monociti e macrofagi, vasculite dell'arteria polmonare a cellule mononucleate e formazione di microtrombi, e appariva marcatamente responsivo alla terapia con corticosteroidi. Partendo dallo studio GenOMICC (Genetics Of Mortality In Critical Care, https://genomicc.org/), che recluta da 5 anni pazienti con sindromi critiche di malattie, tra cui influenza, sepsi e infezioni emergenti, sono stati confrontati i pazienti gravemente malati di COVID-19 con i controlli provenienti da analisi genetiche sulla popolazione, attraverso l’approccio GWAS (studio di associazione sull’intero genoma).
I pazienti in studio sono stati reclutati in 208 unità di terapia intensiva del Regno Unito, mentre i casi ospedalizzati sono stati reclutati attraverso lo studio 4C (Consorzio di caratterizzazione clinica del Coronavirus) dell’International Severe Acute Respiratory Infection Consortium (ISARIC). Sono stati ottenuti i genotipi per 2.734 individui unici, e 2.244 sono stati inclusi nel GWAS per l'analisi, come casi rappresentativi di pazienti in condizioni critiche con COVID-19. Di questi, 1.676 individui di discendenza europea sono stati utilizzati per le analisi primarie.
Sono state identificate e replicate le seguenti nuove associazioni significative a livello del genoma:
É stato quindi stilato un elenco di geni bersaglio di molti farmaci proposti per il trattamento di COVID-19, e sono state valutate le prove a sostegno degli effetti di tali geni sulla probabilità che i pazienti si ammalassero della forma grave della malattia da COVID-19. É stato ad esempio osservato che la variante del gene IFNAR2 ha come effetto una sovra o sottostima dell'espressione del gene di origine e quindi, come conseguenza, la generazione di un particolare meccanismo responsabile della gravità della malattia da COVID-19. Successivamente è stata eseguita la randomizzazione mendeliana a livello del trascrittoma per quantificare il supporto per geni non selezionati, come potenziali bersagli terapeutici, e i segnali sono risultati significativi per IFNAR2 e TYK2. É stato quindi eseguito uno studio di associazione trascrittoma-wide (TWAS) per collegare i risultati GWAS ai dati di espressione genica tessuto-specifica e sono stati così individuati ben 5 segnali genetici correlati alla malattia grave da COVID-19. Quest’approccio ha rivelato meccanismi fisiopatologici precedentemente non descritti.
Un metodo di probabilità ad alta definizione ha fornito una stima iniziale dell'ereditabilità basata sui polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) per COVID-19 grave, identificando significative correlazioni genetiche negative con il rendimento scolastico e l'intelligenza, e positive per un certo numero di fenotipi di adiposità, inclusi l'indice di massa corporea e il grasso delle gambe. Coerentemente con i risultati GWAS di altre malattie infettive e infiammatorie, si è verificato un arricchimento significativo di varianti fortemente associate a promotori e potenziatori.
I dati raccolti suggeriscono che la forma grave di malattia da COVID-19 è correlata ad almeno due meccanismi biologici: le difese antivirali innate, che sono note per essere importanti all'inizio della malattia (geni IFNAR2 e OAS) e il danno polmonare infiammatorio causato dall'ospite.
Gli interferoni sono mediatori canonici della segnalazione antivirale nell'ospite e stimolano il rilascio di molti componenti essenziali della risposta iniziale all'infezione virale. Coerentemente con un ruolo benefico degli interferoni, l'aumentata espressione della subunità del recettore dell'interferone IFNAR2 ha ridotto le probabilità di sviluppare la forma grave della malattia da COVID-19, così come le mutazioni che provocano perdita di funzionalità di IFNAR2 sono associate alla forma grave della malattia da COVID-19 e a molte altre malattie virali. Tutto ciò indica che la somministrazione di interferone può ridurre la probabilità di contrarre la malattia da COVID-19 in forma grave.
Per quanto riguarda il gene OAS è stata osservata la variante rs10735079 (cromosoma 12) che risiede nel cluster genico dell'oligoadenilato sintetasi (OAS) inducibile dall'interferone (OAS1 , OAS2 e OAS3). TWAS ha rilevato associazioni significative con l'espressione prevista di OAS3. Le varianti di OAS1 sono state implicate nella suscettibilità alla SARS-CoV negli studi sull'associazione dei geni candidati in Vietnam e Cina. Questi geni codificano per enzimi che producono un mediatore antivirale ospite che attiva un enzima effettore (RNasi L) il quale può degradare l'RNA a doppio filamento del coronavirus. I geni OAS forniscono quindi un altro potenziale bersaglio terapeutico, come gli inibitori della PDE-12 che vanno ad aumentare l'attività antivirale mediata da OAS. TWAS ha rilevato inoltre la variante intronica del gene DPP9 che codifica per la dipeptidil peptidasi 9 (le varianti in questo locus sono associate alla fibrosi polmonare idiopatica). La dipeptidil peptidasi 9 ha diverse funzioni intracellulari come la scissione del mediatore chiave di segnalazione antivirale CXCL10 e ruoli chiave nella presentazione dell'antigene e nell'attivazione dell'inflammasoma.
Inoltre, nella terapia sperimentale, le opportunità di intervento terapeutico sono maggiori nella fase tardiva o più grave della malattia, e infatti un altro gene, già bersaglio del meccanismo d’azione degli inibitori JAK come baricitinib, è TYK2 che può agire per guidare il danno d'organo infiammatorio.
In conclusione si può affermare che sono state evidenziate nuove e altamente plausibili associazioni genetiche responsabili della forma grave della malattia da COVID-19. Alcune di queste portano direttamente a potenziali approcci terapeutici, come quello per aumentare la segnalazione dell'interferone, o quello per antagonizzare l'attivazione dei monociti e l'infiltrazione nei polmoni, o quello che mira specificamente alle vie infiammatorie dannose. Sebbene ciò si aggiunga sostanzialmente alla logica biologica che sta alla base degli approcci terapeutici specifici, è sicuramente da suggerire che ogni trattamento venga testato in studi clinici su larga scala prima di entrare nella pratica clinica.
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Bibliografia
Erola Pairo-Castineira et al., Genetic mechanisms of critical illness in COVID-19. Nature volume 591, pages92–98 (2021)
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