Su un gruppo di pazienti sono emerse diverse 'défaillance' cognitive nei guariti dal covid, dalla riduzione della velocità di elaborazione delle informazioni, alla riduzione delle capacità di comprensione del linguaggio
Le persone ricoverate per covid potrebbero perdere fino a 10 punti di quoziente intellettivo nei sei mesi successivi all'infezione, ovvero una perdita intellettiva pari al declino cognitivo cui mediamente si va incontro dai 50 ai 70 anni. Anche se al momento non è chiaro quanto questi danni cognitivi siano permanenti, dato l'ampio numero di individui colpiti gravemente dal covid nel mondo l'impatto complessivo potrebbe essere enorme. Lo rivela uno studio condotto presso l'Università di Cambridge e anticipato da New Scientist.
Gli esperti hanno confrontato l'esito di diversi test cognitivi eseguiti sei mesi dopo l'infezione su 46 pazienti ricoverati per covid, confrontandoli con l'esito di test cognitivi eseguiti su una popolazione di controllo di 66 mila individui.
È probabile che il covid favorisca il declino cognitivo in vari modi, ad esempio danneggiando il cervello per eccesso di reazione immunitaria o perché l'infezione causa delle micro emorragie o delle micro ischemie in diverse aree neurali. Resta da capire quanto questi danni siano permanenti e quale sia al contrario la capacità di ripresa a lungo termine. Ad ogni modo l'azione del covid sul cervello non è trascurabile: "solo in Inghilterra 40.000 persone sono state in terapia intensiva per il covid, questo significa che i deficit cognitivi post-covid possono interessare nel mondo un ampio numero di persone", sottolinea Adam Hampshire dell'Imperial College London, che ha condotto un altro studio coinvolgendo oltre 80 mila individui. Pubblicato sulla rivista EClinicalMedicine, lo studio evidenzia diversi deficit cognitivi tra i guariti dal covid rispetto ai coetanei del gruppo di controllo.
Il professor David Menon della Divisione di Anestesia dell’Università di Cambridge, autore senior dello studio, ha affermato: «Il deterioramento cognitivo è comune a un’ampia gamma di disturbi neurologici, inclusa la demenza, e persino l’invecchiamento di routine, ma i modelli che abbiamo visto - il “l’impronta digitale” di Covid-19 era distinta da tutte queste». Sebbene sia ormai accertato che le persone che si sono riprese da una grave malattia da Covid-19 possono manifestare un ampio spettro di sintomi di cattiva salute mentale – depressione, ansia, stress post-traumatico, scarsa motivazione, affaticamento, umore basso e sonno disturbato – il team ha scoperto che la gravità della malattia acuta è il modo migliore nel predire i deficit cognitivi ed esiste una forte correlazione tra gravità della malattia e declino cognitivo. È probabile che il Covid favorisca il declino cognitivo in vari modi, ad esempio danneggiando il cervello per eccesso di reazione immunitaria o perché l’infezione causa delle micro emorragie o delle micro ischemie in diverse aree neurali. Resta da capire quanto questi danni siano permanenti e quale sia al contrario la capacità di ripresa a lungo termine.
I pazienti guariti che riferiscono diversi sintomi tra cui affaticamento, «nebbia nel cervello», problemi nel ricordare le parole, disturbi del sonno, ansia, disturbo post-traumatico da stress. Il Long Covid può colpire fino al 10% dei guariti e causare sintomi come depressione e disturbi ansiosi. Fino a un anno dopo l’infezione potrebbero insorgere malattie cardiovascolari ed esiste il sospetto che il Covid possa influire anche sul microbiota intestinale
Anche i casi lievi possono portare a sintomi cognitivi persistenti: uno studio dell’Università di Oxford e pubblicato su Nature ha concluso che il Covid può ridurre la materia grigia quanto un invecchiamento di 10 anni in persone tra i 51 e gli 81 anni contagiate ma non ricoverate in ospedale.
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