Il ruolo del medico di famiglia. Al via i test a Roma con interferone beta
Niente più tachipirina ma aspirina associata all'Aulin se ci sono anche dolori. Cambia il protocollo varato lo scorso novembre dall'Istituto Mario Negri per le terapie domiciliari dei pazienti Covid. Ai primi sintomi, dunque, occorre cominiare la terapia perché la moltiplicazione del virus si avvia nei primi 7-10 giorni. In sostanza con questo nuovo approccio alla terapia domiciliare, sono sdoganati i farmaci antinfiammatori che vengono immediatamente utilizzati. Via libera anche al cortisone ma solo nei casi più seri che durante la prima ondata sembrava essere stato come proibito e non nelle fasi iniziali della malattia, come sottilinea Omceo Torino.
La nuova procedura è stata presa in considerazione e avviata, per la prima volta, da circa trenta medici di famiglia (
Il nuovo metodo, per lo meno da ciò che traspare dai risultati, si legge sul Corriere.it, è efficace. Il tempo di guarigione dai sintomi più gravi (febbre e dolori muscolari) è molto simile con entrambe le terapie: dai 14 ai 18 giorni. Un importante miglioramento è possibile trovarlo nel persistere dei sintomi più leggeri (perdita di gusto e olfatto o affaticamento) dove, con la nuova terapia, persistono solo nel 23% dei pazienti contro il 73%. Il grande punto a favore però lo troviamo sul tema dei ricoveri: con il nuovo trattamento solo due pazienti su novanta sono andati in ospedale, ossia il 2,2%, che è un numero nettamente inferiore rispetto ai 13 su 90, il 14,4%. Benefici anche da un punto di vista di costi, infatti, per i trattamenti ordinari, subintensivi ed intensivi sono stati spesi 28mila euro contro i 296mila.
Come si ricorderà le cure domiciliari dei pazienti Covid hanno incontrato fin dall’inizio dell’epidemia più di un ostacolo, aggravato anche da una serie di problemi legali. E invece si stanno facendo strade nuove terapie proprio per evitare lunghi ricoveri, se non in casi più gravi. L'altro fronte riguarda uno studio - in fase di applicazione a Roma - con Interferone beta per curare nel luogo di residenza 60 pazienti Covid over 65 con sintomi non gravi. Lo studio, che ha ottenuto l’approvazione dell’Aifa, è stato promosso dall’Istituto di farmacologia traslazionale (Ift) del Cnr, disegnato in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità, ed è pronto ad arruolare pazienti sul territorio romano. La sperimentazione sarà svolta dall’Istituto nazionale per le malattie infettive «Lazzaro Spallanzani» che con l’Unità speciale di continuità assistenziale regionale (Uscar) monitorerà gli effetti.
«Gli interferoni - spiegano gli esperti - svolgono un ruolo essenziale nelle infezioni virali, agendo come un campanello di allarme. Diversi studi, alcuni dei quali condotti nei laboratori dell’Iss, hanno dimostrato che in aggiunta ad un’attività antivirale diretta, che si esprime al meglio nelle prime fasi dell’infezione, l’interferone beta possiede anche spiccate proprietà immunomodulatorie tra cui l’induzione di anticorpi e la stimolazione di risposte cellulari contro il virus». Filippo Belardelli, uno dei promotori dello studio, sottolinea: «È noto che i soggetti anziani mostrano una fisiologica riduzione dei livelli di interferone, il che li rende più vulnerabili alle infezioni. Ed è oramai chiaro che gli interferoni hanno un ruolo chiave nel controllo delle fasi più precoci di replicazione del Coronavirus e nell’attivazione del sistema immune. Ed è proprio da qui che nasce il razionale dello studio, ovvero ripristinare nei pazienti anziani livelli ottimali di interferone nelle prime fasi dell’infezione». Per quanto riguarda i farmaci da utilizzare, nell’indirizzo entrerebbero gli anticorpi monoclonali, fermo restando che saranno i medici di famiglia a individuare il target dei pazienti che possono avere accesso a questa terapia. L'infusione probabilmente verrà comunque eseguita in ospedale e non a casa. Non dovrebbe esserci alcun cambiamento rispetto all’uso della tachipirina, e del cortisone nei pazienti sottoposti ad ossigenoterapia. Saranno sempre i medici di base a indicare, valutando soggetto per soggetto, se usare gli antinfiammatori. Il documento del ministero dovrebbe includere, è stato spiegato, anche alcune attività di diagnostica domiciliare come l’ecografia polmonare e i prelievi di sangue. Esami di cui si occuperanno anche le Usca regionali. Infine, anche gli infermieri dovrebbero fare ingresso in questa parte delle cure contro il Covid.
Come dicevamo, però, l'Ordine dei medici di Torino lancia un avvertimento contro le cure "fai da te" per il Covid e evidenzia" che "il trattamento inappropriato con cortisonici impedirà l'inserimento di questi pazienti nella sperimentazione della terapia con anticorpi monoclonali". "Dai reparti ospedalieri ci giungono segnalazioni di un consistente numero di ricoveri di pazienti Covid che fin dai primi giorni di malattia hanno assunto in modo inappropriato cortisonici, peggiorando il loro quadro clinico", segnala l'Ordine che ricorda ricorda come "tutte le linee guida utilizzate a livello territoriale per la cura dei malati Covid, comprese quelle della Regione Piemonte, e tutta la letteratura scientifica in materia concordino nel giudicare inutile e pericoloso l'uso del cortisone all'esordio della malattia e in assenza di disturbi respiratori che richiedano ossigenoterapia". "Immaginiamo - sottolinea il presidente dell'Ordine, Guido Giustetto, alla Stampa - che, in parte, l'uso di cortisonici possa essere un'iniziativa spontanea da parte di cittadini che trovano informazioni scorrette in rete o sui social, ma ricordiamo comunque a tutti i medici ai quali per la prima volta si rivolge il paziente Covid con sintomi lievi di attenersi strettamente alle evidenze scientifiche, riservando la prescrizione di questi farmaci ai casi di insufficienza respiratoria con necessità di ossigenoterapia".
"Di recente un’altra decisa presa di posizione in merito alle terapie domestica per Covid-19 è stata assunta anche dagli infettivologi del Policlinico Sant’Orsola di Bologna che in una lettera inviata all’Ordine dei medici di Bologna hanno sottolineato come stessero arrivando sempre più pazienti, anche giovani, con una severa infezione da Covid perché sarebbe stata loro somministrata precocemente una cura a base di cortisone - ricostruisce l'avvocato - In estrema sintesi, hanno scritto, i medici di medicina generale devono essere consapevoli della loro responsabilità nel momento in cui si avventurano in tale e altre prescrizioni fuori dalle linee guida, e 'deve essere chiaro che un trattamento con cortisone iniziato entro sette giorni dall’esordio dei sintomi favorisce la replicazione virale e quindi l’infezione e le sue conseguenze'".
Peraltro, prosegue la lettera "il ministero ha comunque sconsigliato nei pazienti con Covid-19 l’uso di cortisone sul territorio, con la sola eccezione dei soggetti in ossigeno-terapia domiciliare". Questi pazienti, tra l’altro, "dovrebbero essere ricoverati in ospedale se, per condizioni di base, elegibili a trattamento intensivistico". Vi è stata una risposta dell’associazione dei medici di medicina generale all’Ospedale sant’Orsola, alla quale gli specialisti bolognesi hanno risposto ammettendo di aver forse sbagliato i modi di comunicazione, ma non i contenuti. "Anche Alberto Zangrillo e Roberto Burioni dell’ospedale San Raffaele, hanno individuato, tra l’altro, il 'cortisone alla prima linea di febbre' in fase iniziale come causa di aggravamento della malattia - avverte il penalista - l'Aifa sul punto indica nelle proprie linee guida che l’uso dei corticosteroidi sia raccomandato 'nei soggetti ospedalizzati con malattia Covid-19 grave, soggetti che necessitano di supplementazione di ossigeno, in presenza o meno di ventilazione meccanica (invasiva o non invasiva)' richiamando numerose fonti e linee guida internazionali".
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