Il vaccino-cerotto è una promettente possibilità sviluppata da Andrea Gambotto, della University of Pittsburgh e testata preliminarmente su topi in un lavoro su EBiomedicine. Dai test sierologici vera foto epidemia, pronti 36 laboratori
Corsa contro il tempo per testare vaccini e farmaci contro il coronavirus: mentre le agenzie regolatorie mondiali sui farmaci si sono mobilitate per creare corsie preferenziali per dare l'OK ai trial clinici, fanno ben sperare i risultati dei primi test su uno dei vaccini in studio, che potrebbe essere applicato con un cerotto direttamente sulla pelle, in modo facile e indolore. Al momento l'Ema in Europa ne sta valutando almeno una dozzina (5 test preclinici sono partiti in Italia) mentre negli Usa e' stata gia' avviata da un paio di settimane la sperimentazione sull'uomo, ma l'obiettivo e' quello di bruciare i tempi e come spiega Silvio Garattini non e' esclusa la possibilita' che si possa arrivare a chiudere le sperimentazioni fra dicembre e febbraio e avviare in qualche caso la produzione delle prime dosi entro fine anno.
Intanto in Giappone si va avanti con la sperimentazione dell'Avigan, pur non scevro da polemiche e in Emilia Romagna è partito un trial con l'eparina.
Made in Italy invece è il trial con eparina, che ha dato i primi riscontri nei casi di polmonite interstiziale nell'ospedale Castel San Giovanni (Piacenza). La terapia sfrutta da un lato il potere antiinfiammatorio dell'eparina e dall'altro la sua capacità anticoagulante che previene una delle maggiori complicanze osservate nei pazienti covid: la trombosi diffusa (formazione di coaguli nel circolo sanguigno). Intanto in Giappone il protagonista è l'Avigan: la casa farmaceutica Fujifilm Toyama Chemical tratterà con il farmaco 100 pazienti. L'Avigan nasce come farmaco anti-influenzale e può essere utilizzato solo previa approvazione del Governo a causa degli effetti collaterali ancora poco chiari. Anche le autorità che regolano nuove terapie sono in prima fila contro il virus, per dare il via libera sui trial il prima possibile: l'FDA ha avviato il programma Coronavirus Treatment Acceleration Program (CTAP) per velocizzare lo sviluppo di possibili terapie. Lavora h24 per esaminare le richieste che arrivano da aziende, ricercatori e medici impegnati contro il covid, facendo un vero e proprio triage delle richieste e dando risposte rapidissime.
I test sierologici
Il momento della riapertura è ancora lontano, ma bisogna prepararsi fin da adesso per poter capire esattamente con quale gradualità sarà possibile tornare a una vita normale e uno degli strumenti fondamentali per farlo sono i test sierologici per la ricerca degli anticorpi. Sono questi test, secondo i ricercatori, che potranno aiutare a comprendere per esempio quante siano state le persone hanno avuto il virus in Italia, oltre ai casi diagnosticati. Soprattutto nella fase della riapertura diventa importante individuare chi ha avuto l'infezione, ma senza sintomi o con sintomi così lievi da non avere avuto la diagnosi. Si calcola che sarebbe sufficiente che fossero il 50% della popolazione per poter riaprire il Paese senza rischi.
Al momento esistono soltanto delle stime, secondo le quali il numero potrebbero essere da cinque a dieci volte quello delle persone che hanno avuto la diagnosi, ma il numero reale è sconosciuto. "Lo strumento per portare alla luce questa realtà sommersa sono i test sierologici che nel sangue individuano la presenza degli anticorpi contro il coronavirus SarsCoV2", osserva il virologo Francesco Broccolo, dell'università Bicocca di Milano e direttore del laboratorio Cerba di Milano. "Mentre i tamponi forniscono una diagnosi diretta, individuando i frammenti genetici del virus nei campioni prelevati da naso e gola, i test sierologici - spiega l'esperto - forniscono una diagnosi indiretta rivelando la presenza degli anticorpi, ossia se l'infezione sia avvenuta in passato o meno". Esistono test sierologici più rapidi ed economici ma meno affidabili e che per questo hanno bisogno di essere validati; ci sono poi altri test più complessi e costosi, ma più affidabili, per i quali sono al momento 36 i laboratori pubblici di almeno 11 regioni che si stanno organizzando.
La Campania è la regione che ne ha di più, con sette laboratori pubblici fra Napoli, Caserta e Benevento; segue la Liguria, con sei centri che hanno fatto richiesta fra Genova, La Spezia e Savona; cinque ne ha la Lombardia, tutti a Milano e alcuni in fase di sperimentazione; cinque sono i laboratori in Veneto, fra Padova, Vicenza, Verona e Mestre; tre sono in Sicilia, a Messina e Palermo, e tre in Piemonte, a Novi Ligure, Alessandria, Arona e Acqui Terme; due sono nel Lazio, entrambi a Roma; due in Toscana, a Massa e Pisa, dove sta partendo un protocollo di studio; hanno infine un laboratorio il Friuli Venezia Giulia (Trieste), Emilia Romagna (Reggio Emilia) e Puglia (Bari)
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