Medico assolto dall’accusa di omicidio colposo anche se la sua condotta è stata omissiva se non si può dimostrare che altri comportamenti avrebbero evitato il decesso del paziente
Non sussiste il reato di omicidio colposo se, ipotizzata come realizzata la condotta omissiva dei sanitari, non sia possibile affermare con alta probabilità che tali contestate condotte avrebbero evitato, al di là di ogni ragionevole dubbio il decesso del paziente. Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 2865/2020 (clicca qui per scaricare il documento completo) - come riporta lo Studio Cataldi - pronunciandosi sul ricorso delle parti civili contro la sentenza che aveva assolto i sanitari dal reato di cui agli artt.
Contro la sentenza che ha assolto i sanitari, ricorrono le parti civili secondo cui la capacità di intendere e di volere del paziente risultava alterata dall'assunzione del farmaco e dunque lo stesso non era in condizioni tali da comprendere di quali cure necessitasse.
Pertanto, al cospetto di un soggetto con discontrollo degli impulsi, il medico, consapevole della gravità e della cinetica dell'avvelenamento da farmaco e incerto sulla quantità assunta, non avrebbe dovuto tener conto della volontà espressa dal paziente e procedere a ricovero forzato per prestare le dovute cure in condizioni di degenza ospedaliera.
Nesso di causalità
Gli Ermellini, rammentano i principi in materia di nesso causale, in particolare in tema di reato colposo omissivo improprio, con particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale dell'esercente la professione sanitaria.
In tal caso, il nesso causale può essere ravvisato solo quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica (universale o statistica), si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Non è, però, consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale. Il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica prossime alla certezza.
Oltre ogni ragionevole dubbio
Nel caso di specie, sulla scorta del materiale probatorio acquisito e valutato, la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fosse prova certa del quantitativo di farmaco assunto e che il farmaco era già letale al momento degli interventi sanitari considerato, altresì, che tale farmaco viene assorbito rapidamente.
Pertanto, vanno condivise le conclusioni a cui sono pervenuti i periti del Tribunale che hanno affermato l'inutilità della gastrolusi rilevando che in letteratura viene mostrato infatti come la lavanda gastrica non sia routinariamente raccomandata dopo un'ora dall'assunzione del farmaco antipsicotico giacché la predetta terapia di urgenza non avrebbe prodotto alcun effetto benefico sia al momento dell'intervento domiciliare del primo sanitario sia al momento in cui il secondo aveva preso in cura il paziente in ospedale, prestandogli tutte le cure necessarie del caso.
In definitiva non è possibile affermare con alta probabilità che le contestate condotte omissive dei dottori, se ipotizzandosi come realizzate sulla base di un giudizio contro fattuale, avrebbero evitato, al di là di ogni ragionevole dubbio il decesso del paziente.
Risultano, inoltre, correttamente rispettati i principi posti dal nostro ordinamento, in primo luogo dall'art. 32 Cost., comma 2, a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, specificazione del più generale principio posto dall'art. 13 Cost., che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica, e dalla L. 833/1978, che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente.
La sentenza in settaglio
La Cassazione, respingendo il ricorso e confermando l’assoluzione del medico, ricorda i principi in materia di nesso causale, in particolare in tema di reato colposo omissivo improprio e alla responsabilità professionale del sanitario.
Secondo la Cassazione in base a quanto disposto quanto disposto dall'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), “il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento”.
La sentenza poi spiega che “sebbene sia ammissibile l'impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione (art. 576 cod. proc. pen.) preordinata a chiedere l'affermazione della responsabilità dell'imputato, quale logico presupposto della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, detta richiesta non può condurre a una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato, in mancanza dell'impugnazione del P.M. L'impugnazione della parte civile deve, in tal caso, fare riferimento specifico a pena di inammissibilità del gravame, agli effetti di carattere civile che si intendono conseguire e non limit,prsi alla richiesta concernente l'affermazione della responsabilità dell'imputato, che esulando dalle facoltà riconosciute dalla legge alla parte civile, renderebbe inammissibile l'impugnazione”.
La Corte ricorda il principio in base al quale “per stabilire la sussistenza del nesso di causalità, posta in premessa una spiegazione causale dell'evento sulla base di una legge statistica o universale di copertura sufficientemente valida e astrattamente applicabile al caso concreto, occorre successivamente verificare, attraverso un giudizio di alta probabilità logica, l'attendibilità, in concreto, della spiegazione causale così ipotizzata”.
In sostanza bisogna verificare sulla base delle evidenze processuali che, “ipotizzandosi come avvenuta l'azione doverosa omessa (o al contrario non compiuta la condotta commissiva) assunta a causa dell'evento, esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale prossima alla certezza, non si sarebbe verificato, oppure sarebbe avvenuto molto dopo, o avrebbe comunque avuto minore intensità lesiva”.
La sentenza ribadisce che in tema di reato colposo omissivo improprio, “con particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale dell'esercente la professione sanitaria, il nesso causale può essere ravvisato solo quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica-, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento ‘hic et nunc’, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; non è, però, consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica prossime alla certezza”.
Quindi l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile sulla reale efficacia della condotta omissiva dell'operatore sanitario rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo “comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa”-
La sentenza della Cassazione conclude affermando che “una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza (di Tribunale e Corte di Appello) impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dai limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità”.
Secondo la Cassazione poi risultano rispettati anche i principi in primo luogo dall'art. 32 Cost., comma 2, secondo il quale nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per legge, il principio più generale dell'art. 13 Cost., che garantisce l'inviolabilità della libertà personale anche riguardo alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica e la legge 833/1978, che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente.
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