Lo evidenzia il progetto di medicina narrativa 'Fuori dal blu' della Fondazione Istud
Le persone depresse non solo vivono da sole in oltre la metà dei casi, ma hanno un senso di solitudine profonda non percepita da chi gli sta intorno. Così come è taciuto il carico e la sofferenza dei familiari, i meno ascoltati, mentre chi cura una persona depressa all'inizio si sente spesso impotente: sono alcuni degli aspetti emersi dal progetto di medicina narrativa 'Fuori dal blu' della Fondazione Istud, presentato a Milano con la Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia, Società Italiana di Psichiatria, Fondazione Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna).
L'iniziativa ha visto la raccolta di 96 storie di depressione raccontate 'a tre voci', cioè dal malato, da chi gli sta accanto, e dagli psichiatri che li curano.
Partendo da una traccia narrativa si è chiesto ai partecipanti di raccontare la loro vita da prima, durante e dopo la depressione, per poi guardare al futuro. I loro racconti hanno fatto emergere aspetti importanti, come per esempio gli eventi scatenanti più ricorrenti (malattia, problemi lavorativi, difficoltà nelle relazioni familiari e sentimentali), che all'inizio il 47% pur stando male non va dal medico e non ha fiducia nelle terapie, e che a far stare meglio è il contatto con la natura e gli animali. "Anche scrivere cura - aggiunge Claudio Mencacci (nella foto), co-presidente della Sinpf - consente di condividere e far emergere emozioni più difficili da raccontare verbalmente. Queste esperienze sono di grande aiuto anche per noi medici, perchè possiamo capire meglio e condividere la sofferenza di chi ci sta davanti".
Per raggiungere questo obiettivo bisogna combattere i pregiudizi attraverso una corretta informazione e un percorso terapeutico e relazionale basato sull’ascolto
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