La ricorrente aveva acquistato una quota del valore nominale di Euro 250,00 della società e alla stessa era stata conferito il ruolo di direttrice di una delle farmacie, con con compenso annuo lordo di Euro 45.000
La Corte di Cassazione ha definitivamente rigettato il ricorso di una direttrice di farmacia destinato al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato con la società titolare dell’esercizio. Già in precedenza la Corte di appello di Milano aveva rigettato la domanda proposta, ma ecco i fatti.
Da quanto accertato nel corso del giudizio di primo grado, si legge su Responsabilecivile.it, la società convenuta era proprietaria di tre farmacie e le gestiva ai sensi della L. n. 362 del 1991, art. 4; la ricorrente aveva acquistato una quota sociale e aveva altresì assunto la carica di direttrice responsabile di una di esse, con corrispettivo annuo di Euro 45.900,00; in concomitanza con tale ruolo la società le aveva rilasciato una procura speciale per la gestione amministrativa della farmacia e precisamente per la gestione del personale, delle ricette rimborsabili, degli adempimenti contabili, dei rapporti con istituti di credito, del laboratorio galenico e degli ordini di acquisto dai fornitori e dai grossisti.
La natura del rapporto
A fronte di tale ruolo, la ricorrente, riporta Responsabilecivile.it, nulla aveva dedotto circa la sussistenza di una etero-direzione, intesa come assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro; viceversa, dalla documentazione era emerso che ella gestisse in assoluta autonomia la farmacia e che fossero carenti i requisiti presuntivi della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Le censure svolte dalla ricorrente in appello vertevano sulla carente disamina del rapporto sociale tra l’appellante, socio accomandante, e i soci accomandatari. Ad avviso dell’appellante, questi ultimi dovevano essere considerati, oltre che amministratori, anche suoi datori di lavoro ai sensi dell’art. 2094 c.c..
Ma la corte territoriale, nel rigettare tali censure aveva osservato che:
Il ricorso della direttrice davanti alla Suprema Corte
La vicenda è così approdata in Cassazione su ricorso dell’originaria attrice. Ebbene, i giudici della Sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza in commento (n. 1396/2020) hanno confermato la pronuncia della corte milanese e rigettato il ricorso perché inammissibile.
Secondo la L. n. 362 del 1991, art. 7 sul riordino del settore farmaceutico, nel testo che regola ratione temporis la fattispecie, “La titolarità dell’esercizio della farmacia privata è riservata a persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, a società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata” (comma 1); tali società “hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia. Sono soci della società farmacisti iscritti all’albo (…) in possesso del requisito dell’idoneità previsto dalla L. 2 aprile 1968, n. 475, art. 12, e successive modificazioni (comma 2). “La direzione della farmacia gestita dalla società è affidata ad uno dei soci che ne è responsabile” (comma 3). L’art. 8 regola le incompatibilità stabilendo che “la partecipazione alle società di cui all’art. 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile….c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato ” (comma 1).
Hanno osservato, perciò, gli Ermellini che a norma del comma 2 dell’art. 7, i soci della società di persone che gestisce una farmacia possono essere solo farmacisti iscritti all’albo in possesso del requisito dell’idoneità previsto dalla L. 2 aprile 1968, n. 475, art. 12 e successive modificazioni. Ai sensi del comma 3 dell’art. 7, la direzione della farmacia deve essere affidata “ad uno dei soci che ne è il responsabile”.
L’accertamento in fatto e in diritto
Ebbene, nel caso in esame, la Corte di appello aveva accertato, in punto di fatto, che la ricorrente, come pubblicato da Responsabilecivile.it, fosse socia accomandante; aveva acquistato una quota del valore nominale di Euro 250,00 della società e alla stessa era stata conferito il ruolo di direttrice di una delle farmacie, con con compenso annuo lordo di Euro 45.000.
In punto di diritto, la sentenza aveva poi richiamato l’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo cui, con riguardo alle società di persone, è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci sempreché la prestazione del socio non integri un conferimento previsto dal contratto sociale e l’attività lavorativa sia prestata sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia. Il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non sono, in linea di principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché, anche quando essi ricorrano, è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni (Cass. n. 23129 del 2010; Cass. 14906 del 2010 e Cass. n. 216 del 1999, in precedenza Cass. n. 1099 del 1987).
Muovendo da tale orientamento, la Corte di appello milanese aveva correttamente confermato quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, ossia che non fossero presenti nella fattispecie i tratti qualificanti del lavoro subordinato.
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