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Medici in pensione, una stangata per la categoria. Ecco tutte le novità

Previdenza Giovanni Vezza | 05/12/2011 16:47

Dopo il blocco dei contratti e del congelamento delle retribuzioni, dopo il sequestro di parte della liquidazione ed il suo frazionamento in tre anni, dopo il prelievo straordinario del 5% e 10% sulle retribuzioni superiori a 90.000 e 150.000 euro, solo per i dipendenti pubblici, dopo tutte le altre leggi speciali che hanno colpito negli ultimi anni i dipendenti pubblici e quindi i medici e i dirigenti del Ssn, adesso arrivano i lavori forzati.

 Questo il commento del Segretario Nazionale Anaao Assomed, Costantino Troise, alla manovra economica approvata ieri dal Consiglio dei Ministri. La riforma delle pensioni che, annullando ogni gradualità, prevede la possibilità di andare in pensione solo al raggiungimento dei 42 anni di contributi (41 per le donne) o all'età di 66 anni, in cui è fissata l'asticella della pensione di vecchiaia, e senza che sia ancora chiarito il meccanismo di penalizzazione in caso di uscita anticipata, è un durissimo colpo per il personale medico e dirigente del SSN. A fronte di condizioni di lavoro sempre più gravose per l'impoverimento delle piante organiche falcidiate dal blocco del turn-over, e sempre più difficili sul fronte della sicurezza e della qualità delle cure a causa dei profondi disservizi provocati dai tagli lineari per circa 20 mld di euro, in un colpo solo si aboliscono le pensioni di anzianità. In termini pratici si prospetta la possibilità per molti medici, anche quelli impegnati nei turni di lavoro più gravosi, di un allungamento della permanenza al lavoro anche di sei anni. Ed il passaggio al sistema contributivo, sia pure pro rata a partire dal 2012, comporterà una riduzione delle pensioni, che solo per i dipendenti pubblici tra cui i medici e i dirigenti del Ssn, ed in spregio a qualsiasi forma di giustizia fiscale, sono già à gravate dal contributo di solidarietà e per le quali viene bloccato (oltre i 960 euro mensili) il recupero dell'inflazione. Ed inoltre, nessuna ridistribuzione è prevista per i giovani: solo tagli per chi deve andare in pensione.
L'Anaao Assomed è fortemente preoccupata per il futuro dei giovani e delle migliaia di precari che vedono sempre più lontano il loro momento di accesso e la loro stabilizzazione nel mondo del lavoro. Così come è preoccupata per le migliaia di medici obbligati a coprire con la loro professione e la loro fatica i vuoti provocati da tagli dissennati e da governi regionali irresponsabili ed anche per milioni di cittadini che vedranno abbattute le prestazioni essenziali e ristrette le loro tutele.

Fuga dal lavoro verso la pensione.



Lo hanno gia' fatto molti medici, che complici le ultime manovre e ulteriori voci di limitazioni, nell'ultimo anno e mezzo hanno deciso di lasciare il lavoro a 61-62 anni, facendo segnare un incremento del 28% delle uscite dal lavoro. Lo rileva il presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), Amedeo Bianco, commentando la manovra approvata ieri dal Consiglio dei ministri.  ''Chi poteva se ne e' andato - spiega Bianco - e cio' dovrebbe far riflettere su quanto sia diventato difficile lavorare per i medici se a 61 anni decidono di andare in pensione. Puo' darsi che in quest'ultimo mese ci sara' un'ulteriore corsa ad andar via da chi ha i requisiti''. Ma non dovrebbe esserci un peggioramento circa la carenza di medici. ''Le previsioni fatte l'anno scorso - continua - sul fatto che nei prossimi anni andranno in pensione piu' medici di quelli che inizieranno a lavorare si basavano su simulazioni che contemplavano gia' l'innalzamento dell'eta' pensionabile e l'uscita dei medici a 65-67 anni,''.  Secondo Massimo Cozza, segretario della Fp Cgil Medici, ''chi si avvantaggera' saranno i medici con funzioni apicali, mentre rimarranno penalizzati i precari e i medici senza ruoli dirigenziali, che dovranno fare guardie e festivi a 66 anni con turni molto frequenti''. Ma per i camici bianchi il Natale si prospetta ancora piu' amaro, rileva il sindacalista, ''perche' sara' proprio con lo stipendio di dicembre o la tredicesima che molti raggiungeranno i 90mila euro di reddito, facendo scattare il contributo di solidarieta' previsto dalla manovra del 2010, che sembrava invece scampato''. Cozza infine rivolge un appello al ministro del Welfare Fornero perche' elimini la norma della 'rottamazione', che consente alle aziende di mandare in pensione anticipata, a sua discrezione, i dipendenti pubblici che abbiano raggiunto i 40 anni di contribuiti. ''Nella manovra non si dice se e' eliminata o meno - conclude - La elimini chiaramente, altrimenti le misure rimangono incongrue''.  

Cinque anni di lavoro in più per i nati nel 1952. Gli altri casi

Per i nati del 1952 il compleanno dei 60 anni rischia di essere molto amaro: è questa, infatti, la classe più penalizzata dalla riforma delle pensioni con un posticipo della pensione che rischia di arrivare fino a cinque anni rispetto ai più fortunati nati nel 1951, magari pochi giorni prima. E anche per questi ultimi l'uscita in tempi brevi verso la pensione dipende dagli anni di lavoro fatti (è salvato chi lavora almeno dal 1975 e ha raggiunto i 36 anni di contributi nel 2011 mentre dovrà lavorare ancora a lungo chi ha cominciato nel 1976). Ecco in sintesi alcuni esempi di persone che potrebbero uscire o, al contrario, restare bloccate dalla riforma annunciata (per gli uomini 66 anni di età per la vecchiaia, 42 anni di contributi per la pensione anticipata, per le donne 66 anni per la vecchiaia dal 2018, 41 anni di contributi per la pensione anticipata). Alleghiamo anche lo schema di uscita dal lavoro per i dipendenti pubblici (clicca qui per visualizzarlo) realizzato dal Sole24ore:

   - UOMO NATO NEL 1952, CINQUE ANNI DI LAVORO IN PIU', ESCE NEL 2018: compie 60 anni a gennaio del 2012, lavora dal 1976, sperava di andare in pensione di anzianità a gennaio 2013, una volta raggiunti i 60 anni e i 36 di contributi e attesa la finestra mobile di 12 mesi. Viene bloccato dall'abolizione delle quote e l'innalzamento dei requisiti per l'anzianità, potrà lasciare il lavoro solo nel 2018 quando avrà 66 anni di età e 42 di contributi.

 

- UOMO NATO NEL 1951, LAVORA DA DIPENDENTE DAL 1975, RIESCE A USCIRE NEL 2012: Nato a dicembre del '51, nel 2011 compie 60 anni di eta' e 36 di contributi riesce quindi ad andare in pensione con i requisiti attuali, una volta attesi i 12 mesi di finestra mobile, a dicembre 2012 quando avrà  61 anni di età. Avrà la pensione calcolata interamente con il metodo retributivo (requisiti raggiunti entro il 2011).

 

   - UOMO NATO NEL 1951, LAVORA DA DIPENDENTE DAL 1976, USCIRA' NEL 2017: ha compito 60 anni ma non i 36 di contributi necessari a raggiungere la quota 96 entro il 2011. Sperava di uscire nel 2013 (una volta raggiunti i requisiti nel 2012 e attesa la finestra mobile) ma dovrà attendere il 2017 quando avrà 66 anni di età e il diritto alla pensione di vecchiaia. La sua pensione sarà calcolata con il retributivo fino al 2011 e con il contributivo tra il 2012 e il 2017.

 

- DONNA NATA NEL 1951, LAVORA NEL PRIVATO ESCE NEL 2012: va in pensione di vecchiaia nel 2012 una volta raggiunti 60 anni di età e decorsi i 12 mesi di finestra mobile.

 

 - DONNA NATA NEL 1951, LAVORA NEL PUBBLICO: ESCE NEL 2017: va in pensione di vecchiaia a 66 anni poiché dal 2012 il requisito per la vecchiaia passa da 61 (più 12 mesi di finestra mobile) a 66. A meno che non abbia 41 anni di contributi e quindi abbia cominciato a lavorare prima del 1976.

 

- DONNA NATA NEL 1952, LAVORA NEL PRIVATO: VA NEL 2015: dal 2012 il requisito per le pensioni delle donne sale a 62 anni ma dovrebbe salire di un ulteriore anno nel 2014. A meno che non abbia cominciato a lavorare prima del 1974 e abbia quindi 41 anni di contributi prima del 2015. 

L’Enpam e le casse private

Aumento delle aliquote contributive, blocco dell’aggancio all’inflazione, passaggio generale al sistema contributivo, sfondamento della soglia dei 40 anni di contributi per le pensioni di anzianità. E poi c’è lo spettro del cosiddetto "super Inps", che significa perdita di autonomia e regole uguali per tutti: in altre parole, se non scioglimento, almeno accorpamento forzoso. Sono disorientate le 19 casse privatizzate che gestiscono la previdenza di quasi 2 milioni di professionisti italiani. Già, perché tutte le Casse di previdenza autonome, comprese quelle dei liberi professionisti, dovranno adottare entro marzo 2012 le misure necessarie per garantire l'equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni.  Le parole d’ordine della riforma previdenziale, ventilata in questi giorni, sono un bombardamento che lambisce e minaccia il baluardo della loro autonomia, sancita dalla legge (i decreti legislativi 509 del 1994 e 103 del 1996). «Questa autonomia è anche e soprattutto autosufficienza economica: a differenza dell’Inps, noi non graviamo sullo Stato, da cui non percepiamo un euro», sottolinea Andrea Camporese, presidente dell’Inpgi (l’ente dei giornalisti) e dell’Adepp, l’Associazione delle casse private. Agli enti dell’Adepp, che insieme hanno un costo di gestione complessivo da 100 milioni e un patrimonio di circa 50 miliardi, oltre 1.925.000 professionisti, meno di un quarto sono i pensionati. Nel 2010, i contributi complessivi incassati ammontano a 7,6 miliardi, mentre le uscite pensionistiche sono di 4,7 miliardi. Entrambi i valori sono in crescita (nel periodo 20052010 il saldo tra entrate e uscite è in attivo del 53%). Ma a preoccupare è il calo dei redditi dichiarati dagli iscritti, che sull’anno perdono in media il 6%. «Siamo già in rivolta – dice Camporese per la tassazione dei proventi finanziari, che anche per noi è stata portata al 20%, dal 12,5%. Speriamo che il ministro voglia incontrarci al più presto. Le ipotesi che aleggiano sembrano lontanissime dal nostro mondo, che è autosufficiente e trasparente. Un accorpamento cancellerebbe la nostra storia e porrebbe il problema di un’improbabile omogeneità tra professioni molto diverse». Le urgenze, secondo l’Adepp, sono altrove: «Il mercato del lavoro che penalizza i più giovani, l’adeguatezza pensionistica per i futuri pensionati, la necessità di un welfare per i professionisti: qui occorre intervenire. E il solo passaggio generale al contributivo non è sufficiente per una solidarietà generazionale che noi auspichiamo». L’ipotesi di una Super Inps pubblica che ricomprenda pure le Casse professionali, fino ad oggi private, fa saltare sulla sedia anche Alberto Oliveti, vicepresidente dell’Enpam, l’ente previdenziale dei medici. «Sono perplesso, francamente. Sarebbe una clamorosa retromarcia di un percorso iniziato da Amato-Dini per privatizzare le Casse. Riportarle al pubblico ora significa caricare l’Erario e dunque il contribuente di un debito previdenziale pregresso. Una mossa poco coerente con l’immagine di serietà che il nuovo governo vuole dare di sé». Oliveti avanza un sospetto: «O si vuole semplificare il sistema. Oppure, come temiamo, portar via il patrimonio delle Casse che vale oltre 50 miliardi di euro e che noi usiamo per pagare le pensioni». 

Lo schema del provvedimento

Dal 2012 pensione di anzianità solo con 42 anni e un mese per gli uomini e 41 anni e un mese per le donne. Via il meccanismo delle quote. Sale già dal 2012 da 60 a 62 anni l'età per la rendita di vecchiaia per le donne lavoratrici del settore privato. Sì al contributivo pro rata per tutti dall'anno prossimo, abolizione delle finestre di uscita (i 12 mesi di attesa), blocco dell'adeguamento all'inflazione per il 2012 e 2013, ad eccezione dei trattamenti pensionistici fino a 936 euro. Introduzione di disincentivi per chi chiede la pensione di anzianità prima dei limiti anagrafici previsti per la vecchiaia. Aumento delle aliquote per artigiani e commercianti (+0,3%). Queste le misure del pacchetto previdenziale, il più importante, contenuto nella manovra del governo di Mario Monti come le riporta il Corriere della Sera. Ma vediamo cosa cambia in concreto.

 Via i 40 anni

Il pensionamento anticipato con 40 anni, a prescindere dall'età anagrafica, stavolta non è rimasto in piedi. A partire dal 2012 per ottenere la pensione prima dell'età della vecchiaia occorrono agli uomini 42 anni ed un mese e alle donne 41 e un mese. Nel 2013 il requisito sale a 42 e 2 mesi, per attestarsi a 42 e 3 mesi a partire dal 2014 (per le donne rispettivamente 41 e 2 mesi, 41 e 3 mesi). Anche questi requisiti saranno parametrati alle speranze di vita dal 2013. Ma non basta. Se si chiede la pensione di anzianità prima dell'età prevista per la vecchiaia, l'assegno verrà corrisposto, per la quota retributiva, con una riduzione pari al 2% per ogni anno di anticipo. Incentivi, invece, per chi prolunga l'attività.

 Contributivo per tutti

È un'idea che il neo ministro Elsa Fornero ha sempre sostenuto. Si tratta di una misura che accelera quanto previsto dalla riforma Dini del 1995, dalla quale restarono esclusi coloro che avevano, a quella data, più di 18 anni di servizio e che mantennero il vantaggioso metodo di calcolo retributivo (2% dello stipendio per ogni anno di lavoro). Dal 2012 i versamenti di questi lavoratori saranno calcolati col meno vantaggioso metodo contributivo. Sistema che tiene conto di quanto effettivamente versato e della speranza di vita media al momento del pensionamento, come succede per tutti quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il '95 e per coloro che a quella data avevano meno di 18 anni, i cui versamenti dal '96 in poi vengono appunto calcolati con il sistema contributivo.  Si applicherà il meccanismo pro-rata. E cioè riguarderà la sola contribuzione versata dopo il 31 dicembre 2011. Una novità tutto sommato poco dolorosa, che incide in maniera modesta sul calcolo della pensione finale. Per alcuni, il contributivo poteva rappresentare addirittura un miglioramento. Chi restava a lavorare più a lungo, anche oltre i 40 anni, infatti, avrebbe avuto la soddisfazione di vedersi incrementare la pensione, in quanto 40 anni, lo ricordiamo, è il tetto massimo dell'anzianità utilizzata per il calcolo retributivo. Così però non è. Nella bozza del testo, c'è una clausola di salvaguardia (evidentemente dei conti pubblici), in base alla quale l'importo della pensione calcolata con il pro-rata, non può comunque superare quello che sarebbe scaturito dal calcolo tutto retributivo. Il nuovo sistema riguarderà solo una minoranza dei lavoratori più anziani (la maggioranza di coloro che aveva più di 18 anni di contributi nel '95 è già andata in pensione). I risparmi saranno quindi modesti, e gli interessati ci rimetteranno poco. Più si è vicini alla pensione e meno si verrà penalizzati.

Le donne e la vecchiaia

La lenta equiparazione dell'età pensionabile delle donne con i 65 anni degli uomini e poi con i 66 anni per tutti è stata e accelerata, e in maniera piuttosto brusca. Dal 1° gennaio 2012, infatti, l'età sale a 62 anni. Il limite sarà ulteriormente elevato a 64 anni nel 2014. I 64 anni diverranno poi 65 nel 2016 per attestarsi a 66 nel 2018. Per le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane e coltivatrici dirette), invece, lo scalone del 2012 è di 3 anni e 6 mesi (l'età sale a da 60 a 63 anni e mezzo). Il resto del percorso, sino al traguardo dei 66 anni nel 2018, è lo stesso di quello delle dipendenti. Per gli uomini il limite sale a 66 anni dal 2012 perché già incorpora la finestra.

 Età flessibile

All'innalzamento dell'età viene affiancata anche una certa flessibilità nell'uscita dal lavoro. Dall'età 62 all'età 70 vige il pensionamento flessibile, con applicazione dei relativi coefficienti di trasformazione del capitale accumulato con il metodo contributivo (che oggi arriva al massimo a 65 anni) calcolati fino a 70 anni. Per gli uomini (e per le dipendenti pubbliche), la fascia di flessibilità è compresa tra 66 o 66,5 (età minima, oggi prevista per il pensionamento di vecchiaia) e 70 anni.

 La vita si allunga

Dal momento che si vive più a lungo, occorre andare in pensione più tardi. È questa la filosofia di base che ha ispirato la legge del 2010, con la quale è stato deciso che i requisiti anagrafici dovranno nel tempo fare riferimento all'incremento della speranza di vita. La manovra economica del luglio scorso ha anticipato al 2013 (doveva partire dal 2015) tale adeguamento, che avverrà con cadenza triennale in base ai dati forniti dall'Istat. A questo proposito, la riforma Monti stabilisce che, se l'incremento dato dalle variazioni demografiche non dovessero arrivarci, a partire dal 2022 l'età del pensionamento non può avvenire prima di 67 anni.

 Finestre

L'inasprimento dei requisiti per ottenere la pensione è in parte mitigato dalla soppressione della famosa «finestra mobile» introdotta dalla manovra economica dell'estate 2010. La pensione verrà erogata il mese successivo alla maturazione dei requisiti.

 Chi si salva.

Le nuove regole sulle pensioni non trovano applicazione nei confronti dei soggetti, entro il limite di 50 mila unità, che maturano i requisiti (di oggi) entro il 31 dicembre 2011 e i lavoratori in mobilità, alla data del 31 ottobre 2011, e quelli interessati ai cosiddetti piani di esubero (banche e assicurazioni, ecc.), anche se raggiungono i requisiti dopo la fine dell'anno in corso. Restano fuori anche gli ex lavoratori che sono stati autorizzati ai versamenti volontari entro il 31 ottobre 2011.

Adeguamento Istat

Sarà bloccato nel 2012 e 2013 l'adeguamento annuale delle pensioni all'inflazione, salvaguardando solo gli assegni fino a 936 euro. È uno dei punti più avversati dalle organizzazioni sindacali.

Quattromila medici già in pensione

Intanto oltre 4mila medici ospedalieri nel 2010 hanno appeso il camice al chiodo. I motivi sono tantissimi e vanno dal contratto bloccato alla retribuzione congelata, dalle nuove norme penalizzanti sulle pensioni al blocco del turnover che porta a turni sempre più pesanti, senza contare l’enorme burocrazia e i rischi di denuncia.  In un solo anno 3.337 uomini e 807 donne hanno lasciato il reparto. Un vero e proprio boom, se si considera che nel biennio precedente (2008-2009) il numero si era sempre mantenuto stabile intorno ai 2.700 l’anno. E’ quanto emerge dall’analisi sulle tabelle dell’Inpdap. Se da un lato molti medici decidono di andar via, dall’altro non sempre vengono rimpiazzati tutti i posti, nonostante il numero di laureati e specializzati che ci sono in Italia. «Condizioni di lavoro più gravose e più rischiose, anche per il crescere del contenzioso medico legale, spingono i medici dipendenti del Ssn all’età di 61-62 anni, o prima se la situazione previdenziale lo consente, ad abbandonare il posto di lavoro», spiega Costantino Troise, segretario nazionale dell’Anaao. Dello stesso avviso il segretario nazionale della Cgil medici, Massimo Cozza: «Questi dati sono la prova del disagio e del malessere che c’è nella categoria, continuamente attaccata. E allora per molti l’unica via di uscita è la pensione». Secondo i medici inoltre hanno giocato un ruolo importante il contratto bloccato e la retribuzione congelata proprio dal 2010, nonché gli annunci delle nuove norme penalizzanti sulle pensioni (con lo scatto dei 65 anni per le donne del pubblico impiego dal 2012) oltre a quelle relative al differimento e alla diluizione del Tfr.

 

I costi della manovra per le famiglie

 

"Salvare l'Italia" alle famiglie costerà in media 635 euro. La stima dell'impatto della manovra economica 1 del governo Monti è della Cgia, l'associazione degli artigiani delle piccole e medie imprese, di Mestre. E, tenuto conto anche delle manovre estive elaborate dal precedente governo Berlusconi 2, l'importo complessivo che graverà sulle famiglie italiane raggiungerà "nel quadriennio 2011-2014, i 6.400 euro". Lo dichiara il segretario della Cgia di mestre, Giuseppe Bortolussi, dopo aver stimato, assieme al suo ufficio studi, gli effetti economici che la manovra Monti e quelle d'estate redatte dal governo Berlusconi avranno sui bilanci delle famiglie italiane. Per quanto concerne la manovra, sottolineano dalla Cgia, l'importo è pari a 30 miliardi di euro lordi. Se a questa cifra si sottraggono i 10 miliardi che saranno destinati allo sviluppo e si rimuovono anche i 4 miliardi che andranno ad evitare il taglio delle agevolazioni nel 2012, l'effetto complessivo sulle famiglie sarà pari a 16 miliardi di euro.  Pertanto, questa entità inciderà mediamente su ciascuno dei 25 milioni di nuclei familiari italiani per un importo pari a 635 euro nel triennio 2012-2014. Se a questa misura si aggiungono gli effetti delle manovre d'estate stilate  dal governo Berlusconi, il carico complessivo sulle famiglie salirà a 6.402 euro. "Complessivamente - conclude Bortolussi - queste 3 manovre avranno un effetto complessivo nel quadriennio 2011-2014 pari a 161,1 miliardi di euro. Una vera e propria stangata che, probabilmente, riuscirà a far quadrare i conti ma rischia di mettere in ginocchio l'economia del Paese".

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