Dott. Stefano Bernasconi
Specialista in Ortopedia e Traumatologia
U.O. Ortopedia e Traumatologia, A.O. Ospedale Civile di Legnano
G.I.S.O.O.S. (Gruppo Italiano di Studio in Ortopedia sull’Osteoporosi Severa)
DEFINIZIONE
Il termine Evidence Based Medicine (EBM) venne pubblicamente usato per la prima volta sul JAMA nel 1992. Tuttavia, la definizione più speso impiegata per descrivere l’evidence based medicine è quella fornita da David Sackett in “evidence based medicine: what it is and what it isn’t” sulle colonne del British Medical Journal nel 1996: “L’EBM è l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso della migliore evidenza disponibile nel prendere decisioni sulla gestione del singolo paziente. Nota in Italia come “medicina delle prove di efficacia” o “medicina basata sulle evidenze”, nasce dal tentativo di rispondere all’interrogativo posto da un caso clinico o da un problema clinico terapeutico con una valutazione critica delle informazioni disponibili ed utilizzando criteri espliciti e riproducibili. Per favorire l’individuazione delle migliori evidenze da parte dei clinici, la EBM ha definito una gerarchia delle fonti di conoscenza in medicina; pur rimandando alla consultazione diretta della cosiddetta “piramide delle evidenze”, secondi cui le fonti più affidabili per la EBM sono nell’ordine: le revisioni sistematiche, le sperimentazioni controllate randomizzate, gli studi di coorte, gli studi di esito, gli studi caso-controllo e le serie di case report. La medicina basata sulle prove si è cosi sviluppata in contrapposizione alla medicina tradizionale in parte basata invece sulle impressioni, sulle intuizioni o sul cosiddetto occhio clinico.
In Italia il movimento della Evidence Based Medicine è promosso dal Centro Cochrane Italiano (CCI) che attraverso pubblicazioni su “Clinical Evidence”, in collaborazione con il Ministero della Salute, raccoglie e sintetizza le informazioni basate sulle prove di efficacia. Il Centro Cochrane Italiano è la branca italiana della Cochrane Collaboration. Si occupa di ricerca, formazione e iniziative editoriali. Le principali aree di ricerca del CCI riguardano la metodologia delle revisioni sistematiche e il trasferimento dei risultati della ricerca nella pratica clinica. Dal 2007 risiede presso la sede dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. La Cochrane Collaboration è un’iniziativa internazionale no-profit nata nel 1993 a Oxford con lo scopo di raccogliere, valutare criticamente e diffondere le informazioni relative all’efficacia degli interventi sanitari. Produce sintesi rigorose della letteratura biomedica, denominate appunto revisioni sistematiche, raccolte all’interno della Cochrane Library. Un’ importane contributo alla diffusione di questo nuovo approccio metodologico, in ambito ortopedico, è dato dal G.L.O.B.E. Gruppo di Lavoro in Ortopedia Basata sulle prove d Efficacia.
PROBLEMA
L’osteoporosi rappresenta una malattia nei confronti della quale le strategie di prevenzione e terapia sono ancora in gran parte disattese. Il 61% delle donne a cui è stata diagnosticata una frattura vertebrale non riceve alcuna forma di prevenzione secondaria. Dal 62 al 70% dei soggetti che subiscono una frattura da traumatismo inefficiente non riceve alcuna terapia nei 6 mesi successivi al ricovero o trattamento ospedaliero. Il 75% delle donne affette da osteoporosi non vengono trattate, con alcun farmaco, riguardo al loro problema e solo il 14% dei pazienti che assumono cronicamente glucocorticoidi riceve una prevenzione farmacologica per l’osteoporosi. A questo quadro di insieme va aggiunto il fatto che negli ultimi anni la ricerca farmacologica ha messo a punto nuove strategie terapeutiche che hanno notevolmente ampliato le possibilità di scelta da parte del medico curante nel momento di affrontare il problema osteoporosi.
REVISONI SISTEMATICHE RIGUARDANTI L’OSTEOPOROSI
La prima revisione sistematica italiana, pubblicata su Clinical Evidence numero 1 del 2001, prendeva in considerazione la terapia ormonale sostitutiva riguardo agli effetti dei trattamenti per prevenire le fratture nelle donne in post menopausa rilevando una “probabile utilità” per la riduzione del rischio di frattura vertebrale e un’utilità “non determinata” nella riduzione del rischio di frattura del collo femorale. Due studi controllati e randomizzati hanno riscontrato meno fratture vertebrali in seguito a trattamento con terapia ormonale sostitutiva rispetto al placebo. Relativamente alle fratture non vertebrali, 2 studi controllati e randomizzati e diversi studi osservazionali hanno dato risultati contrastanti. La riduzione del rischio di frattura del collo del femore sembra essere significativa solo in quelle donne che iniziano la terapia ormonale sostitutiva entro i primi 5 anni di menopausa e che ne hanno fatto un uso continuato. Nel secondo studio controllato e randomizzato sulle fratture non vertebrali 72 delle 96 donne (su 464) che si sono ritirate dallo studio erano nei gruppi di trattamento in terapia ormonale sostitutiva. Le più comuni ragioni addotte per il ritiro erano disturbi mestruali e cefalea.
Più recentemente sul sito Partecipasalute.it, portale sulla salute in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ed il Centro Conchrane Italiano, sono state pubblicate revisioni sistematiche riguardanti l’utilizzo di Acido Zolendronico, Acido Alendronico, Ormone Paratiroideo e integrazione di Calcio nella dieta per la prevenzione di fratture.
Un recente revisione Cochrane condotta da Wells et al. del Dipartimento di Epidemiologia dell’Università di Hottawa ha concluso che la somministrazione di 10 mg die di Alendronato, un farmaco della classe dei bisfosfonati, può aiutare a prevenire la perdita di densità ossea nelle donne in postmenopausa, riducendone il rischio di fratture. Il trattamento è utile sia nella prevenzione primaria che secondaria. Considerando i risultati di undici diversi studi clinici, che avevano coinvolto un totale di 12068 donne, i revisori hanno potuto concludere che l’alendronato è efficace nella prevenzione primaria e secondaria delle fratture a carico della colonna vertebrale. Il farmaco protegge anche dalle fratture a carico di altre ossa del corpo, sedi elettive di fratture da fragilità, come i polsi e le anche, ma solo in prevenzione secondaria. La revisione mostra inoltre che, nonostante il timore che questo farmaco potesse dare disturbi aggiuntivi a carico dello stomaco e della mascella, non c’è un aumento degli eventi avversi nelle donne trattate all’interno degli studi clinici. Va tuttavia considerato che l’attuale commercializzazione dell’acido alendronico prevede una somministrazione settimanale di 70 mg e che al momento non sono presenti studi relativi a questa posologia.
Una seconda revisione ha preso in esame l’efficacia dell’acido zolendronico per il trattamento dell’osteoporosi, valutata in due studi principali in cui il farmaco è stato confrontato con il placebo. Nel primo studio, condotto su quasi 8000 donne in menopausa e con osteoporosi (alcune delle quali con fratture pregresse) il farmaco ha dimostrato di ridurre il rischio di incorrere in una nuova frattura vertebrale: bisognerebbe trattare con acido zolendronico 13 donne perché una eviti la fratture, cioè si sono verificate nuove fratture nell’11% delle donne che assumeva placebo e nel 3% di quelle in trattamento con il farmaco. Per quanto riguarda invece il rischio di fratture dell’anca il farmaco ha dimostrato un’efficacia in misura minore. Bisognerebbe trattare 91 donne perché una eviti una frattura all’anca. Nel secondo studio, condotto su pazienti operati per frattura all’anca, e quindi a maggio rischio di nuove fratture, si sono verificate fratture nel 13,9% dei soggetti trattati con il placebo rispetto al 8,6% di quelli trattati con zolendronato. In particolare per quanto riguarda la prevenzione delle fratture vertebrali l’efficacia si è in parte ridotta ( 1 solo soggetto su 47 trattati beneficerebbe del trattamento) mentre nella prevenzione delle fratture d’anca il farmaco non si è dimostrato superiore a placebo. Dolore muscolare, sintomi influenzali mal di testa, febbre, dolori articolari e aritmia cardiaca sono stati gli eventi avversi che si sono manifestati più frequentemente nel gruppo trattato con il farmaco.
L’Ormone Paratiroideo è un farmaco anabolizzante, assieme al teriparatide, di recente introduzione. Mancano studi comparativi tra questi due farmaci. Una revisione sistematica ha preso in esame studi eseguiti rispetto all’Alendronato. Tale revisione non ha dimostrato differenze significative in termini di aumento della densità minerale ossea a livello lombare o femorale, ma insorgenza di ipercalciuria e ipercalcemia nei trattati con Paratormone (PTH). Il farmaco si è rivelato efficace rispetto al placebo nel ridurre il rischio di nuove fratture vertebrali e il peggioramento di quelle già esistenti, ma non ha dimostrato vantaggi per le fratture non vertebrali. Lo studio principale ha trattato 2532 donne in postmenopausa con PTH 100mcg al giorno o placebo per 18 mesi ed ha riportato a favore delle donne trattate con il farmaco una riduzione del rischio assoluto di avere nuove fratture vertebrali o del peggioramento delle vecchie fratture del 2% rispetto al placebo. Tuttavia non è stata evidenziata una differenza significativa per quanto riguarda le fratture non vertebrali. Gli studi di confronto con alendronato hanno coinvolto 238 donne per 12 mesi divise in tre bracci di terapia: PTH 100 mcg die, PTH 100 mcg die + Alendronato 10 mg die, solo Alendronato 10 mg die. In tutti e tre i gruppi la BMD lombare è aumentata senza differenze significative nei tre gruppi, mentre a livello femorale la terapia combinata e risultata migliore del solo PTH e paragonabile ad alendronato da solo. Il costo per 28 giorni di trattamento con PTH, sottoposto a nota AIFA 79, è di 500,47 Euro, inferiore al Teriparatide (570 Euro) ma 22 volte più costoso di alenedronato (22,51 euro) e circa 11 volte più costoso di Ranelato di Stronzio (50,96 euro).
L’integrazione della dieta con dosi supplementari di calcio nei bambini, spesso consigliato, è una pratica non basata su prove di efficacia secondo una revisione sistematica pubblicata recentemente. L’effetto sulla densità minerale ossea nei bambini si è infatti dimostrato piccolo e non duraturo. Da una revisione condotta su 19 studi che coinvolgevano oltre 2800 bambini e giovani dai 3 ai 18 anni, con vari dosaggi e modalità di somministrazione, si evince che il calcio in dosi supplementari non aumenta in modo significativo la densità minerale ossea di arti inferiori, femore e colonna vertebrale lombare. Per quanto riguarda invece la supplementazione di calcio e vit D per le donne in postmenopausa, secondo i risultati dello studio Jackson del 2006, l’integrazione di calcio aumenta la densità minerale delle ossa ma non ha effetti significativi sul rischio di fratture.
Diversi bisfosfonati ed il Ranelato di Stronzio hanno accumulato prove certe di efficacia nelle prevenzione delle fratture, come sostenuto da numerose revisioni sistematiche e metanalisi indipendenti di trials randomizzati e controllati di alta qualità. Nel 2008 sono state pubblicate due revisioni Cochrane, dedicate ad alendronato (come sopra riportato) e risedronato che ne confermano l’efficacia. All’interno della classe dei bisfosfonati, le prove di efficacia non riguardano in modo uniforme tutte le molecole. Per quanto riguarda i bisfosfonati disponibili nella formulazione iniettiva intramuscolare non esistono a tutt’oggi prove adeguate di efficacia nel trattamento dell’osteoporosi. In particolare il Clodronato, nonostante l’utilizzo esteso e di vecchia data, continua a non disporre di adeguati studi di efficacia che consentano di avvalorare l’uso della forma iniettiva in luogo di quella orale. Per quanto riguarda l’Ibandronato non è stata documentata in modo certo l’efficacia nei confronti delle fratture non vertebrali, incluse le fratture di femore che hanno il maggior impatto socio-economico. L’ipotesi di efficacia dell’ibandronato nella prevenzione di tutte le fratture è supportata da diverse considerazioni ma la prova certa della sua capacità di prevenire le fratture non vertebrali non è al momento disponibile.
TRIALS CLINICI
Alla luce delle necessità, sopra riportate, di aver a disposizione, nella pratica clinica strumenti adeguati per affrontare una patologia complessa e di ancora non univoca interpretazione come l’osteoporosi, nell’ultimo decennio, anche in seguito alla commercializzazione di nuovi farmaci per il trattamento di tale patologia, sono stati prodotti numerosi studi scientifici in accordo con i dettami dell’evidence based medicine in particolare studi clinici controllati.
In particolare prendiamo in considerazione studi clinici controllati in doppio cieco riguardanti le molecole Ranelato di Stronzio, Alendronato, Ridedronato ed Ibandronato, distinguendo quale end point la prevenzione delle fratture vertebrali e la prevenzione delle fratture non vertebrali.
L’Alendronato è stato analizzato negli studi Fit-1, Fit-2, e Flex condotti su un campione di 4134 e 1099 pazienti rispettivamente, da cui emerge una riduzione del rischio di fratture vertebrali del 47% e del 44% a 3 anni ed una riduzione del rischio di frattura non vertebrali a 3 anni solo in una sottopopolazione post-hoc con t-score <–2,5.
Il Risedronato è stato valutato nello studio VERT-MN e VERT-NA condotti rispettivamente su una popolazione di 1226 e 1458 pazienti dimostrando una riduzione del rischio di fratture vertebrali del 41-49% a tre anni, significatività confermata anche nella prevenzione di fratture non vertebrali mediante lo studio HIP condotto su un numero di 9331 pazienti
L’Ibandronato secondo lo studio BONE condotto su 2946 pazienti presenta un riduzione del rischio di fratture vertebrali a 3 anni ma non dimostra prove di efficacia nella prevenzione delle fratture non vertebrali, salvo in una sottopopolazione con t-score <-2,5.
Il Ranelato di Stronzio ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e dell’anca con una rapida efficacia che si conferma anche dopo tre anni di terapia. E’ stato indagato con studi clinici controllati randomizzati ancora più accurati e di più lunga durata quali lo studio SOTI che ha previsto un arruolamento di 1649 pazienti e lo studio TROPOS che ha preso in considerazione 4935 pazienti. Nello studio SOTI si è dimostrato una riduzione del rischio di fratture vertebrali del 49% ad un anno,del 33% a 3 anni e del 24 % a 5 anni. Analogamente,nello studio TROPOS si è dimostrato una riduzione del rischio fratturativo non vertebrale del 16% a 3 anni e del 15% a 5 anni. In particolare a livello dell’anca la diminuzione del rischio di frattura risulta del 36 % dopo 3 anni di trattamento e del 43% dopo 5 anni di trattamento. In questi studi il trattamento con Ranelato di stronzio ha dimostrato di ridurre il rischio di nuove fratture vertebrali indipendentemente dall’età della paziente e dagli altri fattori di rischio per l’osteoporosi quali le fratture pregresse, la BMD iniziale, la famigliarità, il peso corporeo ed il fumo.
CONCLUSIONI
La possibilità di una così ampia gamma di scelta terapeutiche per la cura dell’osteoporosi e la disponibilità di nuovi preparati farmacologici, sempre più innovativi ed efficaci, a fronte di un patologia multifattoriale e multidisciplinare, e alquanto complessa, che a volte rende difficile anche la sola scelta se trattare la paziente o meno, fa si che il medico avverta la necessità di poter accedere ad informazioni scientifiche sempre più accurate e veritiere che l’aiutino nella pratica clinica quotidiana. La medicina basata sulle evidenze è sicuramente la strada da percorrere e metodologicamente corretta per spersonalizzare e rendere più efficace e sicura ogni scelta terapeutica nell’interesse del paziente,del servizio sanitario nazionale e del medico stesso. L’ Evidence Based Medicine è in grado di fornire criteri di scelta nel trattamento dell’osteoporosi in termini di efficacia, rapidità d’azione, tollerabilità, sicurezza, facilità d’uso e rapporto costo-beneficio.
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