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Snami, il vero problema è il ruolo unico: serve un nuovo contratto

Sindacato Redazione DottNet | 19/02/2025 12:08

"L’attuale modello organizzativo, basato sul ruolo unico introdotto con la legge del 2012, ha progressivamente eroso la possibilità di conciliare l’attività a ciclo di scelta con altre forme di assistenza sul territorio"

La medicina generale sta vivendo l’ennesima crisi annunciata, il cui esito era chiaro da oltre un decennio. L’attuale modello organizzativo, basato sul ruolo unico introdotto con la legge del 2012, ha progressivamente eroso la possibilità di conciliare l’attività a ciclo di scelta con altre forme di assistenza sul territorio, portando oggi alla paralisi delle Case di Comunità.

Per anni abbiamo denunciato il pericolo di una riforma che, anziché valorizzare la medicina generale, ne avrebbe compromesso la flessibilità operativa. Lo SNAMI, dal 2012 a oggi, ha pubblicato centinaia di comunicati e condotto innumerevoli battaglie contro un sistema che, anziché rispondere alle esigenze dei pazienti e dei professionisti, ha incatenato la professione a rigidità burocratiche e organizzative che non permettono una gestione efficace delle risorse.

La conseguenza più evidente di questo errore è l’impossibilità per i medici di famiglia di destinare parte della loro attività alle Case di Comunità senza sacrificare la continuità dell’assistenza ai propri assistiti. Un assetto che, invece di creare sinergie, ha reso questi presidi dei contenitori privi di una reale funzione, mentre i cittadini continuano a cercare risposte che il territorio non riesce a dare.

Per questo motivo, lo SNAMI propone una riforma strutturale che superi definitivamente il fallimento del ruolo unico e restituisca ai medici di medicina generale la possibilità di lavorare in un sistema più equo ed efficace. La soluzione è chiara: un contratto orario per le Case di Comunità, che consenta di lavorare in questi presidi con una modalità distinta e senza vincoli, e un contratto convenzionato per l’attività a scelta, che garantisca maggiore flessibilità e migliori tutele, in particolare per le donne, sulla scorta di quanto già previsto per la specialistica ambulatoriale. Solo una revisione di questo tipo potrà ridare dignità alla professione e funzionalità all’assistenza territoriale, evitando che i medici di famiglia continuino a essere ostaggio di un modello che non funziona.

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