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Ictus, scoperto l’effetto dannoso di alcuni farmaci molto comuni

Scompenso Cardiaco Redazione DottNet | 11/12/2024 15:50

Lo ha scoperto lo studio italiano guidato dall’Università dell’Aquila, al quale hanno partecipato anche l’Ospedale Maurizio Bufalini di Cesena e la Asl 1 di Avezzano-Sulmona

Alcuni farmaci di uso molto comune come l’aspirina, assunti per prevenire la formazione di pericolosi coaguli di sangue, possono avere effetti dannosi in caso di ictus con emorragia cerebrale, la tipologia di ictus più fatale, che costituisce circa un terzo dei casi. Lo ha scoperto lo studio italiano guidato dall’Università dell’Aquila, al quale hanno partecipato anche l’Ospedale Maurizio Bufalini di Cesena e la Asl 1 di Avezzano-Sulmona. La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, evidenzia però che spesso questi farmaci, detti ‘antiaggreganti’, vengono prescritti senza che vi sia una reale necessità, aumentando inutilmente i rischi per i pazienti.



“L’effetto dannoso è dovuto al fatto che, quando si rompe un vaso sanguigno, i farmaci antiaggreganti impediscono l’arresto del sanguinamento”, dice all’ANSA Simona Sacco, che ha coordinato lo studio. “Sono farmaci, come la classica cardioaspirina, che spesso vengono percepiti come semplici e innocui – aggiunge la ricercatrice dell’Università dell’Aquila – molto più degli anticoagulanti, che si basano invece su un meccanismo diverso”.


Gli antiaggreganti, infatti, ostacolano l’aggregazione tra le piastrine che si trovano nel sangue, mentre gli anticoagulanti interferiscono con il processo della coagulazione. I dati indicano che il 40% delle emorragie cerebrali si verifica in persone che assumono antiaggreganti, e che questi ultimi sono associati a un tasso di mortalità molto più elevato: 45%, contro il 26% di chi non li assume.

Un altro dato, rilevano gli autori della ricerca,  riguarda il fatto che, in oltre la metà dei casi, l’assunzione di questi farmaci non è giustificata. “Spesso vengono prescritti a persone che sono semplicemente percepite a rischio vascolare, magari solo a causa dell’età”, afferma Sacco. “Speriamo, quindi, che la diffusione dei nostri risultati possa sensibilizzare sia i pazienti che i medici sull’importanza di un uso appropriato degli antiaggreganti”.

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