La Circolare Inps 29 maggio 2019, n. 78, riepiloga i principi essenziali dell’istituto, specie in ordine alle modalità di calcolo dell’onere che si deve sostenere e su come provare l’esistenza del rapporto di lavoro
Accade abbastanza spesso, anche ai medici, che all’inizio dell’attività lavorativa si abbia a che fare con datori di lavoro non troppo puntuali nel versamento dei contributi previdenziali. Generalmente ci si accorge del problema molto avanti nel tempo, quando si incomincia a pensare alla pensione, e diventa sempre più difficile la ricostruzione dei periodi in contestazione. Nel caso dell’Enpam, non pochi medici in prossimità del pensionamento, osservando l’estratto conto, si accorgono che alcuni periodi risultano scoperti di contributi. In questo caso, è possibile chiedere una revisione della posizione previdenziale scrivendo una PEC al consueto indirizzo protocollo@pec.enpam.it , mettendo la comunicazione all’attenzione del Servizio Contributi ed Attività ispettiva, Ufficio Posizioni. Sarà questa struttura a svolgere accertamenti mirati sui versamenti non attribuiti per incertezza sul nominativo del destinatario, ovvero sulle posizioni di omonimi (o soggetti con cognome molto simile) ai quali i contributi potrebbero essere stati imputati per errore.
Nel caso dei medici dipendenti, invece, lo strumento principe per la risoluzione di tali problemi è la costituzione di rendita vitalizia, prevista dall’art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338. Questo istituto consiste nella possibilità, per il datore di lavoro, di riscattare i contributi previdenziali dei lavoratori dipendenti omessi e caduti in prescrizione. Normalmente, infatti, non è più possibile versare i contributi dopo un periodo di cinque anni dall’attività lavorativa cui essi si riferiscono (erano dieci secondo la precedente normativa). In questo modo, invece, il datore di lavoro (ovvero il committente, nel caso di collaborazione coordinata e continuativa), può costituire, mediante la corresponsione all’Inps del relativo onere economico, una rendita reversibile corrispondente alla pensione o alla quota di pensione che spetterebbe al lavoratore, in relazione ai contributi omessi.
La norma originaria, inoltre, concede al lavoratore la facoltà di sostituirsi al datore di lavoro, laddove non possa ottenere da quest’ultimo la costituzione della rendita (se per esempio la società per cui egli lavorava è fallita oppure l’attività sia cessata senza lasciare aventi causa). In questo caso, se è possibile esercitarlo, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno. La facoltà sussiste anche nel caso in cui il lavoratore abbia già ottenuto la pensione e può essere richiesta anche dai suoi superstiti. La Circolare Inps 29 maggio 2019, n. 78, riepiloga i principi essenziali dell’istituto, specie in ordine alle modalità di calcolo dell’onere che si deve sostenere e su come provare l’esistenza del rapporto di lavoro, la sua durata e la retribuzione percepita. Anche la facoltà di costituzione della rendita vitalizia a spese del datore di lavoro è soggetta a prescrizione. Secondo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 21302 del 14 settembre 2017, la prescrizione è di 10 anni, che decorrono dal verificarsi della prescrizione del credito contributivo da parte dell’Inps, anch’essa decennale.
Quindi, secondo la Cassazione, dopo 20 anni dall’omissione il lavoratore perde il diritto alla rendita vitalizia. Per evitare questa conseguenza, il disegno di legge "Lavoro", attualmente all’esame del Senato, introduce una nuova facoltà di costituzione della rendita in capo al lavoratore, senza alcun termine di prescrizione, anche se fossero trascorsi già più di 20 anni.La nuova possibilità, esercitabile al termine dell’iter legislativo, prevede che l’onere finanziario rimanga a carico del lavoratore e venga determinato con gli stessi criteri dell’onere del riscatto (riserva matematica per i periodi ricadenti nel sistema retributivo ed aliquota percentuale per il contributivo). Non è previsto il risarcimento del danno nei confronti del datore.
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