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Nei bambini il Long Covid può durare anche tre anni e impedire la ripresa della vita normale

Infettivologia Redazione DottNet | 24/09/2024 13:46

I vaccini sembrano avere un effetto protettivo (ma dipende dal numero di dosi somministrate e dall’età dei pazienti) sul Long Covid, sulle reinfezioni e sulle complicanze autoimmuni di questa malattia

Sebbene la maggior parte dei pazienti pediatrici guarisca dal Covid-19, alcuni continuano a presentare sintomi ascrivibili al Long Covid, fino a 3 anni di distanza dall’infezione iniziale. È quanto emerge dal lavoro di follow-up più lungo mai effettuato finora in età pediatrica sulle conseguenze dell’infezione da SARS CoV-2 ed ha prodotto una serie di risultati importanti, su più fronti. Condotto su circa 1.300 pazienti di età compresa tra 0 e 18 anni, seguiti presso l’Ambulatorio del Post-Covid pediatrico del Gemelli, lo studio, pubblicato su eClinical Medicine, rivista parte di The Lancet Discovery Science, si è focalizzato sui casi di Long Covid pediatrico, comparsi dopo la prima infezione o dopo le reinfezioni e sulla loro durata. Obiettivo del lavoro era descrivere le caratteristiche del Long Covid nei pazienti in età pediatrica, di valutare la presenza di fattori in grado di predire il rischio di sviluppare Long Covid e di valutare il ruolo del vaccino nel prevenire il Long Covid, il rischio di reinfezioni o la comparsa di malattie autoimmuni.

“In questo lavoro – commenta il dottor Danilo Buonsensocorresponding author, docente di Pediatria all’Università Cattolica e dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – abbiamo documentato l'andamento dell'infezione da SARS-CoV-2 in età pediatrica fino a trentasei mesi successivi alla prima infezione.

Sul fronte Long Covid – prosegue l’esperto - abbiamo confermato i dati dei nostri precedenti studi, aggiungendo però nuove informazioni. Da questa nuova ricerca infatti emerge che, sebbene la maggior parte dei pazienti guarisca dal Covid-19, alcuni continuano a presentare sintomi ascrivibili al Long Covid, fino a 3 anni di distanza dall’infezione iniziale. Questo conferma l’importanza delle potenziali conseguenze di questo virus nei bambini. Molti di quelli seguiti per tre anni, dopo l’infezione iniziale, non sono riusciti a riprendere la routine di tutti i giorni, con conseguenze negative sulla capacità di frequentare regolarmente la scuola o di svolgere le classiche attività extra-scolastiche, a causa dei sintomi debilitanti riportati”.

Il Covid-19 insomma può avere conseguenze importanti e durature anche sui più piccoli. Ma il vaccino è in grado di proteggere anche dal ‘dopo’ fase acuta dell’infezione e cioè dal Long Covid e dalle altre complicanze? “Nel nostro studio – spiega il dottor Buonsenso - la vaccinazione si è dimostrata un fattore protettivo contro il Long Covid, anche se, come abbiamo evidenziato, questo effetto ‘scudo’ varia a seconda del numero di dosi ricevute o dall'età del paziente e questo aggiunge ulteriori informazioni e offre materia di riflessione, rispetto a quanto noto finora”. Un altro dato emerso dallo studio è che, il rischio di presentare una forma grave di Covid-19, nel caso di una reinfezione che compaia nei 24-36 mesi successivi alla prima infezione, è estremamente basso. “Va detto tuttavia –spiega il pediatra – che, anche se raro, è possibile sviluppare il Long Covid anche a seguito di una reinfezione. Inoltre, i bambini con Long Covid sono a maggior rischio di presentare infezioni sintomatiche”.

Come già evidenziato negli adulti infine, dallo studio pubblicato su eClinical Medicine emerge anche che l'infezione dovuta al virus originale è risultata associata a un rischio maggiore di sviluppare malattie autoimmuni, nei mesi successivi all'infezione acuta. Lo studio “Characteristics and predictors of Long Covid in children: a 3-year prospective cohort study”, coordinato dalla Pediatria di Fondazione Policlinico Gemelli (dottor Danilo Buonsenso, professor Giuseppe Zampino, professor Piero Valentini), è stato condotto in collaborazione con l’Ospedale pediatrico ‘V. Buzzi’ di Milano (dottoressa Anna Camporesi), il Dipartimento di Patofisiologia e Trapianti dell’Università di Milano (dottor Federico Vezzulli), il King’s College di Londra e la Sechenov University di Mosca (dottor Daniel Munblit).

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