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Coronavirus: arrivano i test immunità, 150mila a maggio

Sanità pubblica Redazione DottNet | 16/04/2020 20:49

Contagi, segnali positivi. Ma la discesa è troppo lenta. Gimbe: si rischia una nuova impennata dei casi

Due piattaforme di analisi per il processamento dei test sierologici, 'Clio' e/o 'Elisa', ed almeno un laboratorio in ogni Regione che ne sia dotato. La cornice organizzativa si completa di altri tasselli mentre si avvicina l'avvio della campagna nazionale di test sierologici per rilevare la presenza degli anticorpi al SarsCov2 nella popolazione. Inizialmente il campione, suddiviso per genere e 6 fasce di età, comprenderà 150mila italiani, ma successivamente il numero di soggetti testati potrà essere ampliato ulteriormente. "Stiamo alacremente lavorando per fare in modo che entro l'inizio del prossimo mese siano a disposizione 150mila test su base nazionale - ha detto Domenico Arcuri - con cui avvieremo la prima ondata di sperimentazione. L'auspicio è avere la migliore esperienza che c'è sul mercato e fare in modo che progressivamente il test venga utilizzato in tutto il Paese. Uno dei pilastri fondamentali nella prossima fase dell'emergenza è comprendere quanti cittadini sono immuni dal virus".

Annunciata per la fine di aprile, la campagna si concluderà in tempi brevi, nell'arco di un paio di settimane, e l'obiettivo sarà dunque avere una 'mappatura' epidemiologica della diffusione del virus sul territorio. Quanto ai test che saranno utilizzati, è imminente la pubblicazione della call pubblica alla quale le aziende potranno rispondere proponendosi per l'offerta dei kit sierologici, a patto che questi rispettino i criteri e le caratteristiche indicati dal Comitato tecnico scientifico (Cts), tra cui l'elevata "sensibilità, specificità e applicabilità" a livello nazionale. Per la campagna, dunque, potrebbero essere utilizzati anche più test, sempre che rientrino nei criteri indicati e possano basarsi sulle piattaforme prescelte per il processamento. Il test ematico, tuttavia, avrà una valenza "epidemiologica" ma non potrà essere considerato un 'patentino d'immunità': chi cioè risulterà aver sviluppato gli anticorpi, non potrà per questo avere in automatico un 'lasciapassare' ad esempio lavorativo.

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Su questo punto, il direttore del Dipartimento malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità e membro del Cts, Gianni Rezza (nella foto), è molto chiaro: "Il test sierologico non dà un patentino di immunità ma serve a fare uno studio epidemico per vedere quale è la diffusione dell'infezione nelle varie aree italiane. E' questo è importante farlo". I dati che abbiamo, rileva, "ci danno un'immagine cautamente ottimista di quanto sta accadendo nel paese e modelli matematici mostrano da giorni una curva epidemica in diminuzione, ma i casi segnalati rappresentano circa un decimo di tutte le infezioni, perché ci sono persone che non fanno i tamponi, i casi sintomatici, quelli che sfuggono perché paucisintomatici". Il test sarà quindi "utile a capire quante sono le persone infette in Italia ma - precisa Rezza - dice solo se una persona ha o non ha anticorpi contro il virus. Non dice se siano stati acquisiti di recente ed è ancora infetta, o 2 mesi fa".

Quindi "chi risulta positivo deve poi fare un tampone". Della stessa opinione anche il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, il quale rileva pure come "non si sa quanto dureranno gli anticorpi, quindi i test sierologici saranno importanti per monitorare anche questo aspetto". Convinto della necessità che il numero dei tamponi vada "aumentato drammaticamente" si dice anche il virologo dell'Università di Padova Andrea Crisanti. Se dovessero comparire "altri focolai - afferma all'ANSA - l'unica ricetta per arginarli è aumentare il più possibile il numero dei tamponi, come è stato fatto a Vò". Insomma, rileva, "il tampone rimane lo strumento chiave per valutare l'incidenza dei casi e poter applicare misure effettive per spegnere i nuovi focolai". I test sierologici, invece, "sono importanti proprio per identificare le aree geografiche con maggiore o minore trasmissione e da attenzionare eventualmente in modo diverso". Sui test d'immunità un monito arriva però dal ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, che sui test sierologici chiede "chiarezza" ed avverte: "Si sta sviluppando un business che non credo sfugga a nessuno. Dobbiamo tassativamente vietare qualsiasi forma di business sulla pelle degli italiani".

Contagi, segnali positivi. ma la discesa è lenta

Segnali positivi ma non è ancora abbastanza. Anche oggi i dati confermano che la curva dell'andamento dell'epidemia di Covid-19 è in trend discendente, ma la discesa procede lenta e non bisogna abbassare la guardia.  Ciò che induce tuttavia ad un pur cautissimo ottimismo è che il calo si registra anche nelle regioni più colpite come la Lombardia, e questo è indubbiamente un dato particolarmente significativo. Gli esperti, tuttavia, sottolineano come le misure di isolamento sociale rimangano, al momento, ancora fondamentali. Le due settimane che ancora ci attendono di isolamento a casa fino al 4 maggio, affermano, dovrebbero portare un consolidamento in positivo nella diminuzione dei contagi.

Importante, ha sottolineato il commissario per l'emergenza coronavirus Angelo Borrelli alla conferenza stampa nella sede della Protezione civile, "è che sta proseguendo il calo dei ricoveri nelle terapie intensive", con i pazienti nei reparti scesi sotto i 3mila per la prima volta dal 20 marzo. Sono invece complessivamente 106.607 i malati di coronavirus, con un incremento di 1.189 rispetto a ieri, quando l'aumento era stato di 1.127. Il numero dei contagiati totali in Italia - compresi morti e guariti - è di 168.941. E si contano in totale 22.170 vittime, 525 più di ieri, mentre i guariti sono 40.164 (+2.072 rispetto a ieri). Dunque, "siamo in un trend discendente, con le curve dei contagiati, dei ricoverati e dei deceduti che hanno uno sfalsamento temporale e che trovano evidenza anche nei dati giornalieri", ha rilevato il presidente dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, sottolineando come nonostante i numeri alti il trend sia "discendente anche in Lombardia e Piemonte".

Da un punto di vista epidemiologico "i dati sono abbastanza positivi ed è indicativo che anche in Lombardia l'andamento sia in linea, mentre contagi in più si registrano in Piemonte e nel resto del territorio nazionale i numeri sono minori - commenta all'ANSA il virologo dell'Università di Milano Fabrizio Pregliasco -. Pertanto, deve ancora preoccupare la variabilità nel numero dei nuovi casi". La curva insomma, rileva, "sta scendendo, ma ancora molto lentamente. Per questo la cautela deve restare massima perchè - avverte - il rischio di nuovi focolai è ancora alto". In questo senso, secondo l'esperto, "fondamentali" saranno le due settimane di isolamento a casa che ancora ci attendono: "Questo ulteriore periodo di isolamento marcato - afferma - dovrebbe infatti portare ad un consolidamento più concreto del trend di discesa dei contagi, oltre che ad un abbassamento ancora ulteriore di uno dei parametri più importanti che è appunto quello dei ricoveri in Terapia intensiva".

Più critica è invece l'analisi dei numeri fatta dalla Fondazione Gimbe: il contagio da SarsCov2 "non è sotto controllo" e le misure di distanziamento sociale imposte dai decreti "hanno ridotto il sovraccarico degli ospedali e soprattutto delle terapie intensive, ma sul contenimento del contagio i risultati non sono affatto rassicuranti e invitano alla massima cautela". Il rischio di una "nuova impennata dei casi - afferma il presidente Nino Cartabellotta - è in agguato".  Bisogna essere consapevoli, avverte, che "siamo partiti in ritardo con le misure di distanziamento sociale, che il lockdown non è stato affatto totale e che l'aderenza della popolazione è stata buona, ma non eccellente, a giudicare dal numero delle sanzioni elevate nel corso dei controlli". Dunque, "nonostante il contagioso entusiasmo per l'avvio della fase 2 - avverte - serve la massima prudenza".  

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