Spacca il Dna prevenendo la proliferazione delle cellule tumorali
Nell'era dei farmaci biologici e dell'immuno-oncologia torna un farmaco che appartiene alla terapia classica, un chemioterapico che l'Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) ha avviato alla rimborsabilità come terapia di 3/a linea, per il trattamento dei pazienti adulti con tumore del colon retto in stadio avanzato (metastatico) precedentemente trattati con chemioterapia o farmaci biologici.
E' basato sulla combinazione di due molecole, trifluridina e tipiracil, ed è "un chemioterapico diverso dai precedenti - spiega Alberto Sobrero, responsabile dell'Oncologia Medica dell' Ospedale San Martino di Genova - perché ha la peculiarità di entrare nel Dna e di spaccarlo, prevenendo così la proliferazione e la crescita delle cellule tumorali.
Secondo il professor Sobrero, per questa terapia, che arriva come terza opportunità per i pazienti che hanno già ricevuto la chemioterapia 'prima maniera' e poi i farmaci biologici, "il beneficio clinico è grande, rispetto alla tossicità del trattamento", perché dà al paziente la possibilità di continuare la cura quando le altre terapie hanno esaurito il loro compito.
"Trent'anni fa la sopravvivenza a un tumore del colon retto (che con 53 mila casi l'anno è la neoplasia più diffusa in Italia) era mediamente di soli sei mesi - fa rilevare Carmine Pinto, direttore dell'Oncologia Medica al Clinical Cancer Centre di Reggio Emilia - e oggi si superano i 30 mesi. E se nel 2013 erano circa 300 mila gli italiani in vita dopo aver affrontato questo tumore, alla fine del 2017 sono stati 464 mila, il 14% di tutti i pazienti oncologici residenti nel Paese".
Il merito, secondo Pinto, è dei progressi della ricerca, che ha portato a nuove e sempre più efficaci terapie, come quella rappresentata dalla combinazione di trifluridina e tipiracil. Ma anche del programma nazionale di screening con la ricerca del sangue occulto nelle feci. Infatti, per i casi risultati positivi al test è prevista subito la colonscopia, con la possibilità di una diagnosi precoce e interventi tempestivi, che danno i migliori risultati in termini di guarigione.
"Attualmente - afferma Pinto - il 65% dei pazienti che accettano lo screening riesce a sconfiggere la malattia. Tuttavia nel 20% dei casi il tumore viene scoperto quando è ormai si sono già sviluppate delle metastasi". Per Pinto ci sono però due problemi alla pratica dello screening: "Il primo è la copertura nazionale tuttora carente, soprattutto al sud e nelle isole; il secondo è che anche in presenza dell'offerta del servizio, la risposta del cittadino è spesso negativa. Deve crescere la cultura della prevenzione".
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