E' una malattia rara del fegato che aggredisce le vie biliari. Nel destino dei pazienti, soprattutto donne, il trapianto d'organo o la morte. Un gruppo di ricercatori italiani ne ha svelato i segreti genetici: la cirrosi biliare primitiva affonda le sue radici in regioni del Dna ben precise, tra cui quella che comprende il gene dell'interleuchina 12 (IL-12). Una scoperta che spiana la strada allo sviluppo di cure mirate a eliminare la causa della malattia, non a rallentarne la progressione come quelli oggi disponibili. La missione sarà spegnere o modulare i prodotti di questi geni. A spiegare le basi genetiche della cirrosi biliare primitiva è uno studio multicentrico pubblicato su 'Nature Genetics', che ha coinvolto 1.400 pazienti reclutati in 30 centri della Penisola fra cui l'Istituto Humanitas di Rozzano (Milano), riferimento nazionale per questa patologia. Un lavoro di squadra, a cavallo fra Italia e Usa: gli scienziati italiani hanno lavorato in collaborazione con un gruppo di ricercatori della Division of Rheumatology, Allergy and Clinical Immunology della University of California di Davis, dove è stata effettuata la tipizzazione genetica. Tanto che lo studio è stato sostenuto dai National Institutes of Health (Nih), "istituzione governativa americana che finanzia gran parte della ricerca scientifica negli Stati Uniti", spiega Pietro Invernizzi, coordinatore della ricerca e responsabile del Laboratorio di immunopatologia epatobiliare dell'Humanitas.
La cirrosi biliare primitiva, malattia cronica autoimmune piuttosto rara (400 casi ogni milione di persone) colpisce "soprattutto donne fra i 50 e i 60 anni, con un rapporto femmine-maschi di 9 a 1", aggiunge Mauro Podda, responsabile del Dipartimento di medicina interna dell'Humanitas. "Oggi si cura con un farmaco (l'acido ursodesossicolico) che rallenta la progressione della malattia riducendo i danni della colestasi provocata dall'infiammazione delle vie biliari". In questi pazienti, spiegano gli specialisti, il sistema immunitario aggredisce le cellule biliari rendendo difficoltoso il drenaggio della bile dal fegato nell'intestino, causando un ristagno. "Grazie a questa scoperta - annuncia Invernizzi - inizieremo a breve studi clinici in cui i pazienti assumeranno farmaci in grado di bloccare l'interleuchina 12, con l'obiettivo di interrompere la progressione della malattia. Questo studio apre infatti le porte a un diverso utilizzo di farmaci già sul mercato con indicazioni differenti".
Fonte: Nature Genetics
Per commentare e approfondire l’argomento: Gruppo Nuove Frontiere della Genetica
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