Non solo nella soia, verrebbe da dire. Molti altri cibi e bevande possono contenere infatti alti livelli di sostanze chiamate isoflavoni: primi fra tutti birra, vino e noccioline tostate, un 'tris' classico dell'aperitivo tanto in voga anche in Italia. A scoprirlo sono stati gli scienziati del Mrc Dunn Human Nutrition Unit di Cambridge (Gb), che hanno testato la composizione di dozzine di alimenti e bevande utilizzando una tecnica estremamente sensibile, la spettrometria di massa, e concentrandosi sull'analisi della presenza degli isoflavoni, fitoestrogeni simili agli 'ormoni femminili' e dalle proprietà ancora non del tutto chiare.
Studi precedenti - riporta la rivista 'New Scientist' - avevano indagato sulla concentrazione di altri fitoestrogeni, detti lignani, in molti cibi, rilevandone una grande quantità ad esempio nelle noci e in altri prodotti. Ma avevano ignorato gli isoflavoni. Dalle nuove rilevazioni è però emerso che moltissime bevande e alimenti, molte più di quanto gli esperti britannici si aspettassero, contengono discrete quantità di queste sostanze. Studi sugli effetti dei fitoestrogeni - ricordano gli studiosi - hanno dipinto un quadro non ancora chiaro sulla loro reale utilità. Alcuni ne hanno decantato le proprietà anticancro, contro le malattie cardiovascolari e gli effetti negativi della menopausa. Altri hanno messo in collegamento alti livelli di isoflavoni con il rischio di tumore al seno e infertilità maschile. Insomma, via libera agli aperitivi, a proprio rischio o vantaggio.
La correlazione emerge per la prima volta da uno studio condotto presso l'Università della California, a Riverside, e pubblicato sul Journal of Clinical Investigation Insight
I ricercatori del Labanof dell’Università Statale di Milano hanno esaminato due scheletri di donne e dei loro feti, con deformità attribuibili all'osteomalacia, una patologia legata alla fragilità ossea e associata alla carenza di vitamina D
Lo rivela uno studio effettuato su 1771 studenti di 48 scuole elementari pubbliche di Madrid
La pratica potrebbe salvare 820.000 vite l'anno
La correlazione emerge per la prima volta da uno studio condotto presso l'Università della California, a Riverside, e pubblicato sul Journal of Clinical Investigation Insight
I ricercatori del Labanof dell’Università Statale di Milano hanno esaminato due scheletri di donne e dei loro feti, con deformità attribuibili all'osteomalacia, una patologia legata alla fragilità ossea e associata alla carenza di vitamina D
Lo rivela uno studio effettuato su 1771 studenti di 48 scuole elementari pubbliche di Madrid
La pratica potrebbe salvare 820.000 vite l'anno
Commenti