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Le case farmaceutiche annunciano investimenti negli Usa: la politica di Trump sui dazi comincia a fare effetto

Aziende farmaceutiche Redazione DottNet | 22/04/2025 15:00

Maxi investimento di Roche. E' l'ultima dopo Novartis, Lilly e Johnson&Johnson

Le manovre protezionistiche di Trump cominciano a far vedere i primi efftti. Il gigante farmaceutico svizzero Roche prevede di investire 50 miliardi di dollari (43 miliardi di euro) negli Stati Uniti nei prossimi cinque anni. Questi investimenti consentiranno all'azienda di aumentare la propria capacità produttiva nel settore farmaceutico e in quello della diagnostica, ha dichiarato il gruppo in un comunicato stampa. “Questi investimenti rafforzano ulteriormente la già significativa presenza di Roche negli Stati Uniti, con 13 siti di produzione e 15 di R&S nelle divisioni farmaceutica e diagnostica, e si prevede la creazione di oltre 12.000 nuovi posti di lavoro”, si legge. Gli investimenti saranno utilizzati per espandere la capacità produttiva in diversi siti, in particolare in Kentucky, Indiana, New Jersey, Oregon e California, e il gruppo ha aggiunto che intende annunciare a breve un altro sito. Il gruppo, leader mondiale nel settore oncologico, ha già 13 stabilimenti nel Paese, 15 siti di ricerca e sviluppo e impiega 25.

000 persone. La decisione arriva dopo che la rivale, sempre svizzera, Novartis ha annunciato dieci giorni fa l'intenzione di investire 23 miliardi di dollari negli Stati Uniti in cinque anni.

La mossa di Roche non è la prima nel settore farmaceutico. La rivale svizzera Novartis ha annunciato solo dieci giorni fa l’intenzione di investire 23 miliardi di dollari negli Stati Uniti in cinque anni. In precedenza, a febbraio, Eli Lilly aveva annunciato investimenti per 27 miliardi di dollari per costruire quattro nuovi impianti di produzione, più che raddoppiando la somma che aveva destinato alla produzione nazionale dal 2020. Il mese successivo, invece, Johnson & Johnson aveva comunicato al mercato un investimento di 55 miliardi di dollari sempre negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni, che includerà la costruzione di tre nuovi siti di produzione, oltre all’espansione di altri già esistenti. In questo caso l’incremento rispetto al quadriennio precedente è del 25%.

Ma le mosse legate all'adattamento al contesto internazionale non riguardano solamente le aziende europee: anche l'americana Eli Lilly ha pianificato la costruzione di quattro nuovi impianti produttivi per un costo di almeno 27 miliardi di dollari,  Eli Lilly sta puntando sulla produzione domestica del nuovo farmaco orale per la perdita di peso, orforglipron, basato sull'ormone GLP-1. L'azienda prevede che, entro cinque anni, tutti i farmaci GLP-1 destinati al mercato statunitense saranno prodotti internamente, con l'obiettivo di migliorare l'accessibilità e ridurre i costi. ​E mentre le grandi aziende farmaceutiche investono per rafforzare la produzione interna, i produttori di farmaci generici esprimono preoccupazione per l'impatto delle tariffe proposte. Con circa il 90% delle prescrizioni negli Stati Uniti rappresentate da farmaci generici o biosimilari, e l'80% di questi prodotti fabbricati o approvvigionati a livello internazionale, le tariffe potrebbero interrompere la catena di approvvigionamento e causare carenze di medicinali. La stessa Johnson & Johnson ha avvertito che le tariffe potrebbero creare interruzioni nella catena di fornitura, portando a carenze di farmaci e aumentando i costi per i pazienti. ​

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