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Crisi delle cure territoriali, medicina generale: dipendenza o convenzione?

Sindacato Redazione DottNet | 03/03/2025 13:00

"Il vero problema, ed eventualmente la soluzione, non sta in effetti nello stato giuridico del professionista, ma cosa gli farebbe scegliere questa professione e lo farebbe lavorare serenamente"

 Gentile Direttore

Da qualche anno si discute circa il passaggio alla dipendenza del Medico di medicina generale. Un recente progetto di legge ha portato Il problema al tavolo del Ministro della Salute, ma se ne discute ampiamente anche negli Assessorati, nei tavoli sindacali, nelle Regioni e nei Comuni. Tutti si sentono competenti e pronti a dare giudizi circa la fattibilità, la possibilità, le risorse, ecc. , ma in realtà pochissimi conoscono davvero il problema della medicina generale, cosi come è diventato negli anni e soprattutto nel post Covid. La maggior parte degli attori protagonisti, che si dicono competenti in materia, è in pensione da anni e come sindacalista ha delegato molto spesso ad altri il lavoro vero e proprio nello studio.

Il vero problema, ed eventualmente la soluzione, non sta in effetti nello stato giuridico del professionista, ma cosa gli farebbe scegliere questa professione e lo farebbe lavorare serenamente, migliorando non solo il rapporto medico-paziente, ma anche l’autostima e la soddisfazione personale.

Attualmente il medico di medicina Generale ha un rapporto convenzionato a quota capitaria: ciò significa che il suo guadagno mensile è dovuto al numero degli assistiti in carico, tolte tutte le numerose spese (studio, rifiuti speciali, assicurazione, segretaria, infermiere, luce, ecc.). Ne va da se che i "pazienti-datori di lavoro", hanno il potere spesso di ricattare direttamente o indirettamente il medico, con richieste di esami e farmaci, che ritengono dovute, potendo direttamente cambiarlo con un click, senza esprimere alcuna motivazione. Allo stato delle cose, il medico spesso è il bancomat per l’accesso alle cure. Le richieste suddette sono conseguenza di visite specialistiche ,prescritte dal MMG, o ritenute necessarie dallo stesso assistito (documentatosi con il dr Google…). In pochissimi casi i medici specialisti prescrivono ciò che ritengono opportuno sul proprio ricettario personale oppure online in dematerializzata e demandano tutto al MMG. La considerazione che ha il paziente di noi? Siamo i segretari del SSN: degli specialisti ambulatoriali, dei medici ospedalieri, degli specialisti privati, ecc.

Il SSN d’altro canto chiede appropriatezza per i costi, ma controlla solo noi, che dovremmo sempre valutare l’erogazione, anche a scapito della revoca del paziente, che si vede privato ingiustamente di un suo diritto. La gratuità o quasi di tutte le prestazioni eseguibili, rende il MMG ricattabile e crea molteplici conflitti relazionali.

Il vero problema della crisi della medicina generale è quindi la crisi del sistema e l’insoddisfazione che ne derivano.

Molti medici non si iscrivono più nei Corsi di Formazione ( che permettono l’accesso alla graduatoria di medicina generale) e non partecipano ai bandi per la MMG, che spesso vanno deserti o si presentano in pochi rispetto ai posti disponibili nelle zone carenti. Non essendo una vera specializzazione la remunerazione è altresì di molto inferiore a quella dei colleghi specializzandi. D’altro canto la specializzazione in Medicina di Comunità e delle Cure Primarie esiste, ma si sconosce il motivo della inidoneità alla medicina generale.: Unico accesso il Corso di formazione!

La soluzione del problema è quindi ridare dignità alla figura del Medico, che dopo accurata visita, fa diagnosi e terapia: tutto ciò in autonomia o completato da visite ed indagini, ritenute opportune.

Per ottenere tutto ciò, a parere della scrivente, che vive la realtà siciliana della Medicina del Territorio nel prossimo Accordo Collettivo Nazionale e nel nuovo Accordo Regionale, occorrerebbe:

    • Obbligare tutti i medici, attori del SSN, ad emettere richieste e ricette, qualora prescritte e ritenute necessarie. Il "suggerimento" al MMG non deve essere consentito. Tale semplice operazione e responsabilità assunta, comporterebbe una notevole caduta delle prescrizioni e quindi della spesa sanitaria (sia farmacologica che diagnostica), oltre ad una responsabilizzazione anche medico-legale.
    • Su base volontaria, eliminare la quota capitaria dal compenso del medico di medicina generale. Non dipendendo più dal numero degli assistiti, il lavoro potrebbe essere più fluido, più semplice e non dettato da suggerimenti altrui.
    • Il lavoro d’equipe, sia nelle Case di Comunità in embrione, che negli studi periferici, dovrebbe essere a quota oraria: dappertutto. A seconda delle necessità del territorio si devono prevedere luoghi Centrali o periferici, di erogazione delle Cure, ove l’assistito possa essere preso in carico dai medici del territorio, a turnazione, unificati in rete con unico gestionale. Ciò comporterebbe la reale presa in carico e la valutazione dello stato di salute in tempo reale ed eviterebbe richieste inutili di indagini già effettuate e non necessarie.
    • Nelle Case di Comunità, inoltre, avverrebbe un secondo livello di cura, che prevede anche l’intervento di altre figure specialistiche, psicologi, infermieri, assistenti sociali, ecc., che possono valutare la persona e la sua malattia. In queste sedi, ma anche in periferia, potrebbe e si dovrebbe effettuare soprattutto prevenzione.

A chi sostiene che l’inefficienza del medico di Medicina Generale comporta maggiori ed inopportuni accessi al Pronto Soccorso, rispondo:

    • Il MMG non è un medico dell’emergenza, ma deve effettuare visite programmate e di prevenzione. Non si può pertanto pensare che si ridurrebbero gli accessi al P.S. Il paziente si reca al Pronto Soccorso, sia perché ha un problema urgente, ma soprattutto perché vuole una risposta rapida alla sua richiesta di salute. Le lunghe liste d’attesa e la gratuità gli fanno scegliere il P.S.
    • Le liste d’attesa lunghe non sono dovute all’assenza del medico di medicina generale sul territorio, come si vocifera, ma alla inadeguatezza del sistema prenotazione (i c.d. CUP che suggeriscono cambi di priorità…), dalla carenza specialistica e dalle richieste inutili e ripetute di visite ed indagini spesso non necessarie (non essendoci a livello provinciale e regionale un unico gestionale con anagrafe condivisa)

E allora cosa si potrebbe fare per risolvere gran parte dei problemi?

  1.  
    • Eliminare il Corso di formazione e permettere l’accesso con l’esistente specializzazione in Medicina di Comunità e delle Cure Primarie
    • Adeguare gli stipendi dei medici agli standard europei, evitando cosi la fuga dei camici bianchi all’estero, e stimolando le iscrizioni.
    • Eliminare la quota capitaria (sempre su base volontaria per i medici in servizio) che non permette una quantificazione del lavoro di apertura al pubblico, in back office e a domicilio. Mantenendolo invece non si potrebbe mai registrare e valutare tutto il lavoro eseguito e sarebbe sempre sottovalutato da tutti, sia politici che cittadini.
    • Lavorare a turnazione, ovunque, con rapporto a quota oraria, nell’arco delle 24 ore, se i numeri lo permettono. Sarà il medico, in base alle necessità personali a scegliere la dipendenza ( carriera, TFR, ferie, malattia, Infortunio sul lavoro, ecc.) o la convenzione con il SSN (con tutele assimilabili a quello degli specialisti ambulatoriali, che già posseggono tutele simili). In tal modo il rapporto di fiducia con l’assistito potrebbe continuare, scegliendo i turni in cui è in servizio (anche se spesso si tratta di scelta utilitaristica e non fiduciale).
    • Prevedere il part time e gli straordinari (prot. 79/U/2024 nota a verbale dell’ACN da parte dello SMI)
    • Omogeneizzando le aree contrattuali della medicina convenzionata (prot. 314/U/2023 della Segreteria Nazionale SMI), che rendono poco fluido l’accesso e la scelta.
    • Eliminare tutte le incompatibilità nell’ambito della medicina convenzionata: per chi sceglie la convenzione dovrebbe essere eliminata anche l’attuale incompatibilità con la specialistica ambulatoriale, per es. In tale modo il medico che esercita come medico di medicina generale, potrebbe completare le 38 ore sia come continuità assistenziale, che come specialista ambulatoriale, nell’ambito delle case di Comunità. Ciò comporterebbe anche una maggiore utilizzazione delle risorse umane ed una maggiore realizzazione del professionista. Nell’ambito delle 38 ore settimanali previste dal contratto, lavorerà secondo le necessità del territorio e la propria capacità.

      Rendendo fluido il percorso, con trasferimenti e assunzioni nell’ambito dell’area convenzionata, all’intero della UCCP, si renderebbe molto più appetibile la professione.
    • Nel rapporto orario verrebbe meno anche la competizione e la rivalità fra professionisti, visto che tutti lavorano per il bene del cittadino e del territorio e sarebbe anche più facile il rapporto con le altre figure del territorio e con gli ospedali. Si passerebbe dall’attuale paziente in carico al medico di medicina generale, all’assistito in carico alle Cure Primarie del territorio.
    • Per ultimo dovrebbe essere obbligatorio per tutti ( convenzionati e dipendenti) l’uso del ricettario SSN o l’utilizzo della dematerializzata online. Ciascuno deve essere responsabile di ciò che prescrive. Da anni è così, ma non viene penalizzato chi non lo usa.
    • Analogamente deve essere obbligatoria l’emissione di certificato medico da parte di tutti. Sulla carta anche questo punto è già cosi, ma nella realtà viene demandato tutto al MMG, che fa da Segretario a tutti.

Da quanto sopra esposto si evidenzia che quindi basterebbe rendere volontaria la scelta del tipo di contratto (dipendenza o convenzione) , regolarizzare la giungla degli svariati compiti attribuiti al MMG, a sostituzione delle altre figure mancanti o reticenti, per soddisfare tutti i medici, ma soprattutto i cittadini. La disamina sopra esposta nasce sicuramente dalla mia lunga esperienza di medico di medicina generale in Sicilia e dall’esperienza di sindacalista degli ultimi anni. E’ chiaro che le Cure Territoriali variano da Regione a Regione, purtroppo, ed in base alla ricchezza ed alla propria organizzazione.

Una ricetta che piaccia a tutti non esiste, ma per far funzionare i servizi occorre rendere appetibile e funzionale la scelta del tipo di contratto. Ognuno potrebbe rivedersi nell’uno o nell’altro, ma può contribuire al miglioramento delle Cure territoriali, nell’interesse dei cittadini.
Barricarsi invece su posizioni rigide ed immodificabili, scegliendo solo di mantenere tutti i medici in convenzione, con rapporto misto ( scelta/orario), rende ovviamente impopolare la scelta professionale, venendosi a complicare la valutazione del lavoro svolto ed appesantire molto il carico orario totale, che supererebbe sicuramente le 38 ore settimanali, ma che non potrebbe essere riconosciuto come straordinario: non è infatti possibile quantificare il nostro lavoro a quota capitaria, non potendo essere interrotto timbrando un cartellino. L’orario di apertura al pubblico è solo una piccola parte di ciò che si fa quotidianamente. Sarebbe come calcolare l’impegno lavorativo di un insegnante, solo calcolando la presenza nelle aule!

Fra l’altro come è possibile quantificare in termine orario il lavoro nelle domiciliari, nei certificati, nelle pratiche burocratiche quotidiane (piani terapeutici, esenzioni, vaccinazioni?). Se non riesco a finire lo studio nei tempi previsti, come faccio a completare le mie ore nelle Case di Comunità, magari dovendo percorrere chilometri per raggiungerla? Mentre lavoro a rapporto orario, tengo chiuso il telefono e non rispondo a nessuno, essendo impegnato in altre mansioni?  Il problema dei compiti nelle Case di Comunità è poi tutto da rivalutare e stabilire: certo non si può immaginare un medico tappabuchi che copre i servizi a richiesta del Dirigente di turno, in base alle carenze. Un medico è un professionista e nel tipo di contratto scelto (convenzione o dipendenza) devono essere stabiliti i compiti sanitari ed il relativo carico burocratico. Non dimentichiamo che un medico studia per fare diagnosi, terapia e prevenzione.

Tiziana Alescio

Segretario Regionale Sindacato Medici Italiani (SMI)  Regione Sicilia


 

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