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Rapporto Eurispes, medici e infermieri sempre più stanchi e malpagati: gli stipendi sono il 22% più bassi rispetto alla media Ocse

Professione Redazione DottNet | 16/12/2024 18:18

A partire dal 2008 in Italia la crescita del personale sanitario, che si protraeva da più di 30 anni, si è arrestata. Nel 2014 sono stati assunti 80 dipendenti ogni 100 andati in pensione, nel 2017 98 ogni 100

Sempre meno numerosi in corsia, non di rado con contratti a tempo determinato, retribuzioni del 22% più basse rispetto ai colleghi di molti Paesi europei e impegnati a confrontarsi con un contesto aggressivo che sempre più spesso sfocia nella violenza. Da qui, i dati sul burnout che coinvolge il 52% dei medici e il 45% degli infermieri. Sullo sfondo le grandi innovazioni rappresentate dall'Intelligenza Artificiale e dalla riorganizzazione della sanità prevista dal Pnrr. È il ritratto del personale sanitario italiano che emerge dal Rapporto su Salute e Ssn dell' Osservatorio Salute,Legalità, Previdenza di Fondazione Enpam e Eurispes (clicca qui per scaricare il documento completo).    A partire dal 2008, ricostruisce il rapporto, in Italia la crescita del personale sanitario, che si protraeva da più di 30 anni, si è arrestata. Per esempio, nel 2014 sono stati assunti 80 dipendenti ogni 100 andati in pensione, nel 2015 si è scesi a 70 ogni 100, nel 2017 98 ogni 100. Di pari passo è aumentato il lavoro flessibile: nel 2018, nel comparto sanità si è concentrato il 45% dell'utilizzo di unità annue a tempo determinato di tutta la Pubblica amministrazione (35.481 su 79.620).

Un ulteriore incremento, c'è stato negli ultimi anni, specie durante la pandemia: tra il 2019 e il 2022 il ricorso al personale a tempo determinato è aumentato del 44,6%. "Il blocco del turnover, e dunque la carenza cronica di personale all'interno delle strutture sanitarie - spiegano gli estensori del rapporto - da decenni costringe gli operatori a sforzi prolungati, continui e ad alto coinvolgimento fisico e psicologico".

Il fenomeno del burnout riguarda soprattutto le donne. Il personale femminile è anche vittima di circa i due terzi delle 18.000 aggressioni a danno dei sanitari e continua a scontare un forte svantaggio legato al genere: più di due terzi dei lavoratori del settore sanitario oggi sono donne, ma le posizioni dirigenziali e apicali sono ancora appannaggio degli uomini. Nel caso dei medici, per esempio, le donne rappresentano il 51,3% della professione, ma solo il 19,2% dei primari è di sesso femminile. Ad incrementare il disagio vissuto dal personale sanitario vi è poi l’aumento dell’aggressività dell’utenza sempre più frequentemente responsabile di episodi di violenza con circa 18.000 operatori coinvolti. A segnalare i 2/3 delle aggressioni sono, come detto, professioniste donne; la professione più colpita è quella infermieristica, seguita da medici e operatori sociosanitari. I setting più a rischio sono i Pronto Soccorso e le Aree di Degenza e gli aggressori principalmente gli utenti/pazienti. Questi fattori hanno concorso a ridurre l’attrattività del SSN rendendo oltremodo difficile reclutare nuovi operatori e trattenere quelli già in servizio. Chi lascia il SSN va all’estero o nel privato alla ricerca di orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia. Il rapporto rimarca inoltre la distanza in termini retributivi dei medici italiani rispetto a quelli degli altri Paesi. Il reddito annuale dei medici specialisti è del 22% più basso rispetto alla media Ocse. Idem per gli infermieri.

Il personale, insomma, è stato uno degli aspetti principali delle politiche di contenimento e riduzione della spesa pubblica destinata alla sanità e ciò, secondo il rapporto, ha contribuito all’esplosione di problemi legati alla disaffezione dei dipendenti e soprattutto allo svuotamento di valore e di significato del lavoro nel e per il Servizio Sanitario Nazionale. Una survey condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri porta alla luce come un medico su due sia in burnout (52%), e per gli infermieri poco meno di uno su due (45%); per entrambe le professioni, l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permangono difficoltà di conciliazione lavoro-vita familiare.

In questo scenario si inserisce l'innovazione che promette di rivoluzionare la medicina: l'Intelligenza Artificiale, la telemedicina, la robotica. "Nei cambiamenti in atto - demografico, generazionale, valoriale, tecnologico - la professione medica deve riconquistare rilevanza sociale e autorevolezza", ha affermato il presidente della Fondazione Enpam, Alberto Oliveti. "Per riappropriarci dell'ars medica dobbiamo ripartire dalla sua definizione e quindi da: scienza, coscienza e sapienza, ben consapevoli che l'Intelligenza artificiale, nel suo essere pervasiva, cambierà pratiche, politiche ed etica". "Occuparsi di salute richiede un approccio olistico, intersettoriale, dinamico, nazionale e internazionale, ma richiede anche la capacità di calarsi, di volta in volta, in precise aree disciplinari o problematiche specifiche, al fine di osservarle, analizzarle e formulare osservazioni e proposte. Il Rapporto che presentiamo oggi si sviluppa proprio lungo queste direttrici", ha aggiunto il presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara. 

Un’altra spinta è arrivata dalla Missione 6 denominata “Salute” del Pnrr, che dispone di risorse economiche per 15,62 miliardi di euro, pari all’8,03% dell’intero Pnrr. Gli investimenti hanno lo scopo di superare le criticità del SSN – tempi di attesa, scarsa digitalizzazione, mancata sinergia tra strutture, divario territoriale – per preparare il settore alle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in atto. Le risorse a disposizione saranno così suddivise: una prima Componente in Reti di prossimità, Strutture e Telemedicina per l’Assistenza Sanitaria Territoriale per 7 miliardi di euro; una seconda Componente in Innovazione, Ricerca e Digitalizzazione per 8,62 miliardi di euro.

Ad oggi la medicina territoriale è affidata a medici di base e unità di pronto soccorso, insufficienti a rispondere ai bisogni della comunità. L’implementazione della medicina territoriale attraverso le Reti di prossimità coincide con la realizzazione di Case della Comunità per 2 miliardi di euro, Case di Abitazione del paziente per 4 miliardi di euro, Ospedali di Comunità per 1 miliardo di euro. Se le Case di Comunità costituiranno il punto unico di accesso alle prestazioni sanitare sul territorio – se ne prevede 1 ogni 40.000/50.000 abitanti – la Casa di Abitazione si concentra sulle necessità derivanti dall’invecchiamento della popolazione e le conseguenti malattie croniche che riguardano il 40% della platea, anche attraverso la telemedicina e le cure domiciliari. Gli Ospedali di Comunità avranno invece la funzione di potenziare l’assistenza sanitaria intermedia mediante la creazione di strutture destinate a degenze brevi – inferiori a 30 giorni – e agli interventi sanitari a media/bassa intensità clinica, con 20 posti letto ogni 100.000 abitanti, e un’assistenza 24/7.

La seconda Componente della Missione Salute prevede invece investimenti per la modernizzazione del parco tecnologico e digitale (4,05 miliardi), sicurezza e sostenibilità degli edifici (1,64 miliardi), rafforzamento delle ICT e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati (1,67 miliardi), potenziamento della ricerca biomedica (0,52 miliardi), implemento delle competenze tecnico-professionali, digitali e manageriali (0,74 miliardi). La Riforma consiste inoltre nella riorganizzazione della rete degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) con una governance aziendale sempre più strategica e orientata alla ricerca.

Mentre la l’attuazione normativa e procedimentale delle Componenti della Missione 6 – in massima parte affidata alla competenza del Ministero della Salute – è sino ad oggi avvenuta nel rispetto del cronoprogramma fissato nel PNRR, la loro attuazione concreta – rimessa alle Regioni ed agli Enti locali – sconta rallentamenti e ritardi in grado di mettere in dubbio la conclusione dei relativi interventi, programmata entro il mese di giugno 2026. Ciò sia per la nuova medicina territoriale, ove la creazione delle nuove Case della Comunità ed Ospedali di Comunità è molto lontana dall’effettivo completamento e messa in funzione; sia per il potenziamento delle ICT all’interno del SSN. Il numero e la capacità tecnico-amministrativa del medesimo personale non sono stati sino ad oggi in grado, anche all’interno della Missione Salute, di rendere le Regioni e gli Enti locali pienamente capaci di attuare concretamente gli interventi affidati a tali livelli di governo.

In ambito clinico, l’IA ha già mostrato le sue potenzialità: nell’attività diagnostica; nell’analisi dei dati e di medicina predittiva; nell’assistenza ai pazienti, consentendo progetti di telemedicina avanzata e potrebbe ridurre del 17% il tempo che i medici impiegano in compiti di natura amministrativa, che attualmente corrisponde al 50% del tempo di lavoro. La sburoctatizzazione dell’attività medica può avere come conseguenza più tempo e attenzione da investire nella relazione tra medico e paziente. Il PNRR rappresenta un’opportunità concreta (l’ultima?) per un rilancio del SSN grazie alla digitalizzazione. Una delle principali sfide individuate dall’Eurispes per il SSN riguarda il livello di competenze digitali del personale, ancora troppo basso. L’Italia è 18esima per grado di digitalizzazione tra i 27 Paesi dell’Ue, evidenziando la natura sistemica e non particolare della questione. In secondo luogo, c’è la necessità di digitalizzare le infrastrutture su tutto il territorio nazionale, in conformità con quanto indicato dalla Missione 6 del PNRR. Il rischio, in sanità, è che alle ben note disuguaglianze del SSN “analogico”, mai sanate, potrebbero sommarsi quelle specifiche del SSN digitalizzato.

Se quelle appena descritte sono solo una parte delle evoluzioni in sanità e salute, per il rapporto non bisogna dimenticare che ben il 50% delle chances di mantenersi in salute risiede nelle scelte di vita dei singoli individui. Dunque prevenzione ed educazione sanitaria. Ma serve anche stimolare governi e policy makers perché sviluppino politiche sanitarie fondate su una comprensione profonda e integrata di tutte le esposizioni che influenzano la salute: la genetica, il clima, gli ambienti urbani e naturali, il lavoro, l’istruzione, lo stress psicologico e, naturalmente, il sistema sanitario. E poiché, giusto per citarne alcuni, il clima, l’inquinamento atmosferico, i corsi d’acqua, la filiera produttiva del cibo sono fenomeni che oltrepassano i confini statali, è indispensabile che si proceda con una logica internazionale.

 

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