Lo rivela uno studio coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi e l’Università di Firenze
Alcuni farmaci per il Parkinson che agiscono sulla dopamina possono aumentare, solo in pazienti predisposti, una certa propensione al rischio, senza compromettere le capacità cognitive. È quanto emerge da uno studio coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi e la Scuola di Economia e Management dell’Università di Firenze. I risultati delle sperimentazioni hanno suggerito che, in una minoranza di pazienti, i farmaci possono avere una certa influenza sul modo in cui vengono prese le decisioni.
“La nostra ipotesi è che i disturbi del controllo degli impulsi non siano dovuti ai farmaci di per sé, ma che questi funzionino da innesco in pazienti particolarmente predisposti. È essenziale approfondire ulteriormente questo fenomeno, per capire l’origine di questi disturbi e sviluppare terapie più mirate che possano prevenirli” spiega Alberto Mazzoni, professore associato di Bioingegneria presso la Scuola Superiore Sant’Anna, responsabile scientifico del Computational Neuroengineering Lab e coordinatore dello studio.
La malattia di Parkinson è un disturbo neurodegenerativo che colpisce principalmente il controllo motorio, causando sintomi come tremore, rigidità e difficoltà nei movimenti. Questi problemi possono essere ridotti somministrando ai pazienti opportuni farmaci. Esistono però anche sintomi non motori, come alterazioni dei processi decisionali che sfociano nei cosiddetti disturbi del controllo degli impulsi che possono incrementare, in persone già predisposte, comportamenti come il gioco d’azzardo e lo shopping compulsivo. “Il disturbo del controllo degli impulsi – spiega Silvia Ramat, neurologa e responsabile della Parkinson Unit dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi – è un disturbo del comportamento che in alcuni casi può complicare la malattia di Parkinson, causando problemi personali, familiari e sociali. Lo studio approfondisce un aspetto importante della malattia di Parkinson e aiuterà i medici a mettere in atto una terapia sempre più personalizzata”.
Lo studio coordinato dall’Istituto di BioRobotica ha esaminato gli effetti dei farmaci dopaminergici anti-tremore sulla capacità decisionale dei pazienti con Parkinson, con e senza disturbo del controllo degli impulsi, grazie a un test comportamentale sviluppato insieme alla Scuola di Economia e Management dell’Università di Firenze. I ricercatori hanno chiesto a due categorie di pazienti con Parkinson, con disturbi decisionali e senza disturbi decisionali, di partecipare a un videogioco in cui dovevano fare scelte più o meno rischiose. I pazienti dovevano scegliere più volte tra due opzioni: una con una vincita bassa ma con un rischio minimo di perdita, e un’altra con una vincita alta ma con un rischio maggiore di perdita. Dopo ogni scelta i pazienti venivano informati del risultato e dovevano adottare una strategia che li facesse vincere il più possibile.
“Prima della somministrazione dei farmaci, tutti i pazienti hanno adottato correttamente la strategia a basso rischio, considerata ottimale dal punto di vista economico – spiega Fabio Taddeini, primo autore dello studio e PhD student dell’Istituto di BioRobotica – Solo dopo l’assunzione dei farmaci i comportamenti si sono differenziati: i pazienti senza disturbi hanno mantenuto la strategia a basso rischio, mentre i pazienti con disturbi decisionali hanno mostrato un graduale aumento delle scelte rischiose”.
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