I legali: "Alla fine, si è trovato a svolgere, per quindici anni, un orario lavorativo ben superiore a quello contrattualizzato"
La Corte di Appello di Napoli ha condannato una ASL campana a risarcire con centomila euro i danni sofferti da un medico ospedaliero per averlo esposto a periodi di lavoro eccessivi, senza garantirgli il minimo di riposo giornaliero e l'adeguato riposo notturno, tutelati dalle norme europee. Il caso riguarda un medico che dopo varie esperienze lavorative ha iniziato dal 2008 ad operare all'interno del reparto di ortopedia e traumatologia dell'ASL di Napoli 3 Sud. La situazione dell'ospedale, "caratterizzata da grave carenza di personale - raccontano i legali del medico, gli avvocati Egidio Lizza e Giovanni Romano - lo ha esposto a richieste da parte della dirigenza sempre più pressanti rispetto all'orario di lavoro da svolgere, che è progressivamente divenuto insopportabile e al quale gli era sostanzialmente impossibile sottrarsi, a meno di voler lasciare totalmente scoperto il reparto". Alla fine, si è trovato a svolgere, per quindici anni, un orario lavorativo ben superiore a quello contrattualizzato, che - ha riconosciuto la Corte d'appello di Napoli - non gli ha permesso di usufruire di un periodo minimo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive e lo ha portato a svolgere lavoro notturno per più delle otto ore giornaliere consentite.
"D'altronde - argomentano gli avvocati Lizza e Romano - anche la nostra Carta costituzionale, all'art. 36, tutela il diritto al rispetto dell'orario di lavoro, sicché l'usura psicofisica derivante dalla mancata fruizione del riposo deve essere risarcita, perché il riposo rappresenta di per sé un bene giuridico da tutelare. Non può essere il singolo medico, dunque, a risolvere il problema degli ospedali che hanno carenze di personale». E non può essere lui a farne le spese perché, come afferma la Corte, non sono ammissibili deroghe alle norme sui riposi «quando le condizioni di criticità derivino dalla errata gestione del personale o dalla carenza di personale creata dall'errata programmazione dei fabbisogni da parte dello Stato".
Il problema su cui si sono cimentati i giudici (in primo grado il Tribunale aveva respinto la richiesta di risarcimento del medico, verdetto ribaltato in appello) è tutto italiano e nasce da lontano. Da tempo l'Unione europea ha delineato una disciplina in materia di orario di lavoro finalizzata a garantire al lavoratore le condizioni minime necessarie affinché ne sia tutelato il diritto alla salute. Dopo aver recepito questa normativa nei confronti di tutti i lavoratori, lo Stato italiano l'ha illegittimamente esclusa (con la legge n. 112/2008) per il personale medico. A seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, l'Italia ha poi provveduto, soltanto a partire dal novembre 2015, ad adeguare l'orario di lavoro dei medici alle prescrizioni comunitarie. Le disposizioni europee, come evidenzia la Corte, hanno soprattutto l'obiettivo di «garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori, facendo in modo che essi possano beneficiare di periodi minimi di riposo e di adeguati periodi di pausa», in relazione all'orario di lavoro.
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