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L’obesità è una patologia da internisti

Medicina Interna Redazione DottNet | 10/10/2024 11:21

Sesti: “Come spesso accade in medicina la scoperta di nuovi farmaci fa accendere i riflettori su patologie e vie metaboliche prima un po’ trascurate, per il fatto che fossero sostanzialmente orfane di terapie"

Obesity firstsembra essere il nuovo mantra di tanti specialisti, grazie all’arrivo di terapie finalmente efficaci contro l’obesità e patologie correlate. I farmaci basati sulle incretine, e in particolare i GLP-1 analoghi e di nuovissimi dual agonist (analoghi recettoriali di GLP-1 e GIP), si stanno infatti rivelando sempre più multi-tasking, in grado cioè, oltre che di curare diabete e obesità (che è quello per cui sono nati), anche di fare da scudo alle malattie cardiovascolari, all’insufficienza renale, alle epatopatie croniche, a tanti tumori, alle apnee da sonno, alla degenerazione artrosica delle articolazioni e forse anche alle demenze e al Parkinson. E non passa giorno senza che questa lista non si allunghi. Ma è proprio in virtù di questi loro effetti quasi a 360°, che gli internisti, specialisti esperti della gestione delle co-morbilità e delle poli-patologie, si propongono come i più ‘vocati’ e titolati per usare questi farmaci. Per trattare non solo l’obesità, ma anche tutte le sue complicanze e co-morbilità correlate.

L’obesità, da disciplina un po’ negletta è balzata negli ultimi tempi agli onori della cronaca.

E non solo per i suoi numeri da capogiro (a convivere con questa condizione è oltre un miliardo di persone nel mondo e più del 10% degli italiani, cioè 4 milioni di connazionali, mentre altri 17 milioni sono in sovrappeso), ma anche perché finalmente i medici hanno a disposizione farmaci realmente efficaci per trattare l’obesità e il sovrappeso. "Come spesso accade in medicina – riflette il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna SIMI – la scoperta di nuovi farmaci fa accendere i riflettori su patologie e vie metaboliche prima un po’ trascurate, per il fatto che fossero sostanzialmente orfane di terapie. Gli esempi vanno dalla scoperta delle statine per il trattamento del colesterolo alto, agli ACE-inibitori per il trattamento della pressione. E adesso è il momento degli analoghi recettoriali del GLP-1 e dei dual agonist per il trattamento dell’obesità". Sono lontani i tempi in cui l’obesità veniva considerata solo un problema estetico e una patologia da ‘scarsa volontà’. 

"L’obesità è non solo un fattore di rischio – spiega il professor Sesti – ma una vera e propria malattia, cronica, ingravescente, recidivante, come riconosciuto da tante organizzazioni internazionali e società scientifiche. In più è circondata da una costellazione di patologie (co-morbilità e complicanze)".  Oggi, per la prima volta nella storia, medici e pazienti hanno finalmente a disposizione dei farmaci che mimano l’azione di ormoni intestinali naturali (GLP-1 e GIP). E si tratta di terapie altamente efficaci e con un buon profilo di sicurezza. Ma c’è di più. "Il vero elemento di novità e di serendipity che stiamo scoprendo di giorno in giorno – ricorda il professor Sesti – è che questi farmaci non fanno solo quello per il quale erano stati messi a punto, cioè trattare il diabete tipo 2, migliorando la secrezione insulinica e trattare l’obesità rallentando lo svuotamento gastrico (che dà un senso di sazietà) e agendo sui centri cerebrali della fame e della sazietà. Gli studi condotti in questi anni hanno infatti dimostrato che questi farmaci hanno anche effetti di protezione cardiovascolare (riducono l’aterosclerosi, la pressione arteriosa, riducono l’assorbimento post-prandiale dei lipidi, migliorano l’azione cardiaca) e renale (riducono la perdita di proteine con le urine e il declino della funzionalità renale). Ma non solo. C’è anche tutta una costellazione di nuove osservazioni sugli effetti benefici di questi farmaci, che si estende ad altri organi e apparati. Potrebbero ad esempio proteggere anche dalle patologie neurodegenerative (sono in corso numerosi trial clinici per valutare i loro effetti su demenza e Parkinson). Molto interessante è anche tutto il filone di studi sulla steatosi epatica – prosegue il professor Sesti – Questi farmaci non si limitano a ridurre l’infarcimento di grasso nel fegato, ma limitano la progressione del danno epatico verso la fibrosi e la cirrosi". 

Anche in questo caso, sono in corso una serie di trial, che dovranno confermare le osservazioni fatte sulle persone con diabete trattate per anni con questi farmaci. Queste nuove terapie insomma non si limitano insomma a trattare l’obesità, ma correggono anche tutte le condizioni che hanno nell’obesità il principale fattore di rischio, come il diabete tipo 2. L’obesità è inoltre uno dei principali fattori di rischio per l’ipertensione, per la dislipidemia e per le patologie epatiche, dalla steatosi epatica (o MAFLD/MASH), alla cirrosi. Questi nuovi farmaci hanno dunque un effetto protettivo su molti organi e contro molte patologie (comprese quelle tumorali) e sembrano dunque proprio la bacchetta magica a misura di internista. "L’obesità – conclude il professor Sesti – è una concatenazione di tante patologie diverse e dà un interessamento multiorgano. E l’unico ‘specialista degli specialisti’, come ricorda anche il logo della nostra società scientifica, ‘In uno omnia’ (in un solo specialista, tutte le specialità), è l’internista. Perché nella pratica clinica di tutti i giorni è l’internista che diagnostica, tratta e segue tutti questi fattori di rischio e condizioni ‘trasversali’ all’obesità. E, per uscire dall’ambito dell’auto-refenzialità, non è un caso che ogni volta che viene immesso sul mercato un nuovo farmaco per il trattamento di poli-patologie, oltre agli specialisti di settore, l’AIFA chiede sempre il parere dell’internista, lo specialista delle poli-patologie e della complessità".

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