La Corte Costituzionale con sentenza n.130 depositata il 23 giugno 2023 aveva dichiarato anticostituzionale il differimento e la rateizzazione del TFR e del TFS dei dipendenti pubblici in quanto contrasta con il principio della giusta retribuzione
Nei giorni scorsi CGIL, UIL, CGS, CSE, COSMED, CIDA e CODIRP hanno lanciato una petizione diretta a Governo e a Parlamento per porre fine alla dilazione del Trattamento di Fine Servizio (TFS) e del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) dei dipendenti pubblici e dei medici. Per oltre un decennio, i dipendenti pubblici, medici, personale sanitario hanno subito un ingiusto sequestro delle loro liquidazioni, erogate con modalità differite e rateali, causando ritardi che possono arrivare fino a sette anni. Questa pratica non solo li discrimina rispetto ai dipendenti privati, ma rappresenta anche una grave ingiustizia sociale, specialmente per coloro che raggiungono la pensione di vecchiaia o il limite ordinamentale per la permanenza al lavoro. Soprattutto in un periodo di alta inflazione, ogni dilazione erode nel tempo il potere d'acquisto di queste liquidazioni, aggiungendo un ulteriore danno al già inammissibile ritardo nell’erogazione delle stesse.
Ma facciamo un passo indietro: La Corte Costituzionale con sentenza n.130 depositata il 23 giugno 2023 aveva dichiarato anticostituzionale il differimento e la rateizzazione del TFR e del TFS dei dipendenti pubblici in quanto contrasta con il principio della giusta retribuzione, contenuto nell’art.36 della Costituzione. Ricordiamo che il TFR spetta ai lavoratori privati o a quelli pubblici assunti prima del 31 dicembre 2000; il TFS spetta ai lavoratori del settore pubblico assunti dopo il 2000.
Le origini della disciplina del TFR si trovano in un passato remoto: un’indennità di anzianità era stata istituita nel 1916 a favore degli impiegati richiamati alle armi e successivamente nel 1919 a favore di tutti gli impiegati che avessero maturato un’anzianità particolarmente elevata. Dal 1942 è stata introdotta anche per gli operai del settore privato. L’indennità di anzianità era stata concepita come istituto a carattere misto previdenziale/assistenziale, finalizzata ad assicurare il sostentamento del lavoratore, durante il periodo di disoccupazione, nella ricerca di un nuovo posto di lavoro o del trattamento pensionistico. Fino al 1966 l’indennità era dovuta solo in caso di licenziamento non per colpa del lavoratore, successivamente essa cambia natura diventando salario differito dovuto in tutti i casi di risoluzione del rapporto di lavoro. Da quel momento diventa un accantonamento universale e obbligatorio per i lavoratori dipendenti gestito dai datori di lavoro che ne fanno spesso un utilizzo improprio per usi imprenditoriali finalizzati alla gestione dei flussi di cassa senza passare per il sistema creditizio.
Nel caso degli accantonamenti da parte dello Stato come datore di lavoro, i vari governi hanno cercato di non attribuire all’INPS (prima per gli statali ENPAS) entrate di copertura corrispondenti per fa quadrare le poste di bilancio. Non a caso da pochi anni il problema è diventato un macigno a causa della massa di pensionandi del baby boom degli anni cinquanta-sessanta e con l’introduzione di quota 100 (poi 103). Si calcola che l’aggravio per le casse dell’INPS, e dello Stato con effetto domino) si aggira sui 14 miliardi di euro. Una somma enorme, pari ad una finanziaria.
La Corte ha considerato con preoccupazione gli eventuali effetti immediati della sentenza che travolgerebbe gli effetti delle leggi dal 1997 ad oggi invitando il legislatore ad intervenire con urgenza per trovare una soluzione che consenta l’applicazione del dispositivo della sentenza.
Il governo doveva da tempo quindi intervenire subito per mettere una pezza agli effetti della sentenza. Non facendolo si legittima il diritto di tutti i pensionati dello Stato di ricevere al pari dei lavoratori dipendenti la liquidazione nei tempi adeguati (di norma 45-60 giorni), si apriranno i contenziosi per tutti coloro che si sono rivolti al settore bancario per avere anticipi di parte della liquidazione. Resta il fatto che il nostro Paese è tra i pochi in Europa che utilizza il sistema del TFR-TFS come cardine della struttura salariale. Nel TFR appaiono evidenti gli interessi dell’impresa rispetto agli interessi dei lavoratori.
È intollerabile - proseguono i sindacati - che, nonostante i numerosi disegni di legge presentati da tutte le forze politiche, non sia stato ancora adottato alcun provvedimento concreto per risolvere questa ingiustizia, ma ci si limiti ad auspici, moniti, che non hanno concretamente risolto le varie penalizzazioni e riduzioni economiche che si stanno accumulando a carico dei dipendenti pubblici. È ora che il legislatore intervenga con urgenza per porre fine a questo sequestro illegittimo, restituendo il maltolto e garantendo civiltà giuridica ed equità. Le sigle sindacali delle Confederazioni CGIL, UIL, CGS, CSE, COSMED, CIDA e CODIRP, ritengono che sia necessaria una mobilitazione decisa per ottenere finalmente giustizia per i dipendenti pubblici.
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