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Le cinque strategie che hanno migliorato i tassi di successo della procreazione assistita in 10 anni

Ginecologia Redazione DottNet | 08/07/2024 15:52

La legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita (PMA) ha compiuto 20 anni fra referendum, divieti cancellati dalla Corte costituzionale e un dibattito ancora acceso

La legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita (PMA) ha compiuto 20 anni in Italia, un periodo trascorso fra referendum, divieti cancellati dalla Corte costituzionale e un dibattito ancora acceso. Ma dal punto di vista scientifico, quali sono state le strategie cliniche e di laboratorio che hanno più influito sul crescente successo delle tecniche di PMA in termini di bambini nati (ben 217.000 dal 2004 a oggi, attualmente il 4% delle nascite che avvengono ogni anno nel nostro Paese, dati ISS)? Un esteso studio firmato dal gruppo Genera presentato al 40° Congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (ESHRE) in corso ad Amsterdam, mette in evidenza le 5 strategie che hanno contribuito all’aumento progressivo dei nati da PMA in Italia: in media dal 32% nel 2010 al 42% nel 2020, con picchi fra il 70 e l’80% nelle donne ‘under 38’.

Si tratta delle terapie ormonali personalizzate e mai uguali da donna a donna mirate a ridurre rischio di complicanze, come l’iperstimolazione ovarica, senza però compromettere il risultato; la coltura a blastocisti, cioè portare gli embrioni prodotti in laboratorio al 5-7° giorno di sviluppo, lo stadio più adatto a facilitare poi l’impianto in utero; l’approccio freeze-all, cioè la scelta di congelare i gameti e gli embrioni prima di procedere con il trasferimento, in modo da avere tempo per ottimizzare le condizioni dell’utero materno; il test genetico pre-impianto (PGT) che consente di conoscere lo stato di salute degli embrioni prima del transfer; e infine, la più recente adozione dell’approccio multiciclo, cioè la sensibilizzazione della coppia a ‘non mollare’ e a considerare la PMA come un percorso, le cui potenzialità spesso non si concretizzano in un solo tentativo ma, in media, in almeno tre.

"Nel corso degli ultimi 10 anni, il periodo di tempo che abbiamo preso in considerazione per questo studio – spiega Alberto Vaiarelli, primo autore del paper, ginecologo e coordinatore medico-scientifico del centro Genera di Roma - l’implementazione e la crescente adozione di questi approcci hanno migliorato i risultati della fecondazione in vitro. L'indicatore principale del successo della fecondazione in vitro è il tasso cumulativo di bambini nati, ma ci sono altri risultati da considerare per una valutazione più approfondita dell'efficacia e dell'efficienza del trattamento, compreso il tempo necessario per arrivare ad aver un bambino, il tasso di aborto spontaneo e la prevalenza di gravidanze gemellari. Inoltre, la coppia dovrebbe essere sempre messa nelle migliori condizioni per pensare a un progetto di family planning, puntando ad avere più di un bambino, quando possibile".

L’analisi è avvenuta considerando i dati di 6.600 coppie sottoposte a PMA nel centro Genera di Roma. Le coppie sono state divise in 11 gruppi in base all'anno del loro primo trattamento (anni: 2010-2020) e confrontate per verificare la nascita di un bambino entro 3 anni, la prevalenza di aborto spontaneo e di parto gemellare e la prevalenza di parti singoli di più di 2 bambini entro 6 anni. La stimolazione ormonale è avvenuta con protocolli diversi, tutti i pazienti sono stati sottoposti a ICSI (l’inseminazione intracitoplasmatica, ossia la tecnica di laboratorio che consente l'inserimento di un singolo spermatozoo all'interno dell'ovocita maturo) su ovociti freschi, ma con coltura o al 2-3° giorno di sviluppo o a blastocisti (5-7° giorno), trasferimento a fresco o con freeze-all, di embrioni non testati con PGT o testati e risultati cromosomicamente sani (euploidi), trasferimenti di embrioni singoli o multipli.

Ne è emerso che, nel corso degli anni, l’adozione delle strategie ipotizzate dagli esperti come le migliori per ottimizzare i tassi di successo è aumentata progressivamente e, da questo, ne è derivato un continuo miglioramento del tasso cumulativo di bambini nati a 3 anni: è aumentato in media dal 32% nel 2010 al 42% nel 2020, con picchi fra il 70 e l’80% nelle donne ‘under 38’ in caso di normale riserva ovarica. A ciò si accompagna il dimezzamento delle donne che hanno subito un aborto spontaneo (dal 12% a meno del 6%) e un calo delle donne con parto gemellare (dal 7,5% allo 0,5%).

"I progressi clinici e di laboratorio – conferma Vaiarelli - hanno migliorato l’efficacia e l’efficienza della fecondazione in vitro nel tempo, soddisfacendo anche il desiderio di pianificazione familiare. Le tecnologie che abbiamo in serbo per il futuro e il miglioramento dei flussi di lavoro ci serviranno per raggiungere l’obiettivo di una riduzione dell’abbandono del trattamento da parte delle coppie. Questo significa concepire la PMA come un percorso, un journey, e non come un singolo tentativo".  

Titolo dello studio: A decade of transformations in IVF strategies towards enhanced clinical efficacy, efficiency, and safety: the real-life experience of 6610 couples.

Genera

Genera è il più grande gruppo attivo in Italia nella diagnosi e nella cura dell’infertilità, un network di 7 centri specializzati privati con sede a Roma, Napoli, Cagliari, Umbertide (Pg), Milano e Marostica (Vi) e Torino. I centri effettuano oltre 3.000 trattamenti con circa 500 bambini nati ogni anno, e vantano un’esperienza di oltre 30 anni nella medicina e nella biologia della riproduzione, con più di 300 pubblicazioni scientifiche all’attivo del Team di ricerca.

Infertilità, una radiografia ‘full body’ della donna per creare piani nutrizionali personalizzati 

L’assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA), il gold standard per il calcolo e la localizzazione della massa grassa e magra, fornisce un'immagine tridimensionale del corpo per uno studio approfondito delle strategie alimentari da mettere in pratica per aumentare le chance di concepimento

Una radiografia di tutto il corpo per valutare la composizione corporea di una donna con problemi di infertilità e creare per lei un percorso personalizzato di nutrizione finalizzato a ottimizzare le chance di concepimento, dato il ruolo essenziale che l’alimentazione ha nel supportare l’ottenimento di una gravidanza. E’ quanto hanno testato gli esperti nutrizionisti del gruppo Genera, guidati dalla biologa Gemma Fabozzi, responsabile del centro B-Woman per la salute della donna, in collaborazione con il gruppo di Laura di Renzo, professoressa ordinaria  di Nutrizione Clinica dell’Università Tor Vergata di Roma, che hanno presentato i risultati del loro test pilota al 40° Congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (ESHRE) in corso ad Amsterdam.

"È noto dai dati presenti in letteratura – spiega Fabozzi, prima firma del lavoro - che essere sottopeso, sovrappeso o obese aumenta il rischio di ripetuti fallimenti d’impianto dell’embrione o di aborto spontaneo, probabilmente a causa del ruolo chiave che il tessuto adiposo esercita nella riproduzione. L'indice di massa corporea (BMI) è l’indicatore più utilizzato per definire le caratteristiche antropometriche; tuttavia, rappresenta un indicatore inadeguato della composizione corporea, con il rischio di calcolare erroneamente la percentuale di massa grassa e di sottostimare il rischio di fallimento riproduttivo. Questo studio ha voluto analizzare la composizione corporea dei pazienti infertili mediante assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA), il gold standard per il calcolo e la localizzazione della massa magra, fornendo un'immagine tridimensionale delle densità degli organi corporei. Una strada che si può percorrere soprattutto al fine di elaborare piani nutrizionali personalizzati per le pazienti con problemi di infertilità".

La sperimentazione ha coinvolto 66 donne, di cui 50 già con figli e 16 con una storia di ripetuti fallimenti di impianto (RIF) di embrioni prodotti tramite fecondazione assistita. E’ stata eseguita una caratterizzazione della composizione corporea mediante DXA ed è stato scoperto che tale composizione differisce tra pazienti fertili e infertili: rispetto alle donne fertili, le donne infertili con storia di RIF mostrano differenze nella distribuzione dei tessuti soprattutto nella parte inferiore del corpo, e nella mineralizzazione ossea. "È fondamentale - spiega la professoressa Di Renzo - la determinazione della massa corporea, distinta in muscolare, grassa e ossea. La condizione di infertilità è infatti caratterizzata da una riduzione della massa magra con conseguente aumento ed espansione proporzionale della massa grassa, non solo a livello viscerale ma anche periferico. Inoltre, rispetto alle donne fertili, quelle con problemi di infertilità presentano una minore massa ossea a livello del tronco. Una condizione che si presenta a prescindere dal BMI della paziente".

"L’obiettivo – evidenzia Fabozzi – è quello di arrivare a rendere più oggettivo il modo in cui siamo in grado di valutare la composizione corporea di una donna infertile. Oggi ci basiamo sulla BIA (bioimpedenziometria), sul BMI e sul peso, che sono indici di analisi abbastanza imprecisi, ma anche di facile utilizzo. Con la DXA, una sorta di radiografia full body, possiamo studiare quanta massa magra e grassa sono presenti, come si distribuiscono, insieme a una fotografia della composizione ossea e lipidica che a quanto pare varia fra chi è fertile e chi è infertile. Gli studi dovranno però proseguire per capire meglio queste differenze e arrivare a elaborare per ogni paziente una terapia nutrizionale e di stili di vita mirata per ogni paziente". 

Titolo dello studio: Characterization of body composition by dual energy x-ray absorptiometry (DXA) of infertile women with history of repeated implantation failure.

 L’AI nei laboratori di PMA: affidabile come l’uomo nel dare priorità agli embrioni da trasferire

L’intelligenza artificiale sempre più evoluta anche per l’applicazione nella fecondazione assistita, ma serviranno altri studi per andare verso l’utilizzo clinico di routine

 Dare la corretta priorità agli embrioni prodotti attraverso un ciclo di Procreazione medicalmente assistita (PMA) e destinati al trasferimento nell’utero materno significa contribuire a ridurre il tempo necessario per ottenere la nascita di un bambino. Sono gli embriologi che se ne occupano all’interno dei laboratori dei centri specializzati in riproduzione umana: ma gli strumenti di intelligenza artificiale (AI), conferma uno studio del gruppo Genera presentato al 40° Congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (ESHRE) in corso ad Amsterdam, sono oggi in grado di eguagliare occhio ed esperienza degli operatori umani.

"La morfologia e il ritmo di sviluppo dell'embrione – afferma Danilo Cimadomo, responsabile Ricerca del gruppo Genera - sono associati alla competenza cromosomica e riproduttiva, ma la loro valutazione rimane soggettiva e poco riproducibile. L'introduzione di incubatori che consentono di filmare gli embrioni in vitro (tecnologia Time-Lapse) ha fornito preziose informazioni sul loro sviluppo preimpianto, ma non ha migliorato la riproducibilità del giudizio dell’occhio umano, quello degli esperti embriologi che nei laboratori studiano e classificano gli embrioni a seconda della loro morfologia. A oggi, infatti, il test genetico pre-impianto (PGT) è ancora l’indicatore più attendibile e validato per predire la capacità dell’embrione di dare luogo a una gravidanza".

I nuovi modelli di intelligenza artificiale integrati con time-lapse fanno però ipotizzare che sia concreta la possibilità di arrivare ad automatizzare e standardizzare le valutazioni. Per il nuovo studio è stata eseguita un’analisi retrospettiva in cieco di 786 cicli di PGT e 2.184 blastocisti. Sono stati confrontati un approccio di valutazione standard, un approccio di valutazione con time-lapse e un approccio di valutazione mediante intelligenza artificiale. Ebbene l'intelligenza artificiale e le classificazioni tradizionali hanno dato la priorità agli embrioni euploidi con prestazioni comparabili.

"Attualmente gli strumenti di intelligenza artificiale – prosegue Cimadomo - sono oggetto di studio per valutare se possano prevedere in modo non invasivo l’euploidia (lo stato di salute a livello cromosomico) degli embrioni, ma prima di poterli utilizzare in clinica a tal fine avremo bisogno di ulteriori analisi. Soprattutto, se un centro applica quotidianamente il test genetico pre-impianto, che è il miglior indicatore di competenza embrionale, non credo sia così prossimo il momento in cui esso possa essere sostituito da uno strumento di AI. Vedo più probabile, a breve termine, una cooperazione delle due tecnologie nella predizione dell’impianto embrionale".

Un ulteriore studio del gruppo Genera in collaborazione con due banche di ovociti (Ginefiv e Ginemed), ha inoltre validato in maniera preliminare un test basato sull'intelligenza artificiale per valutare la qualità morfologica di ovociti freschi ottenuti da donatrici e predirne lo sviluppo a blastocisti, cioè la loro capacità, dopo fecondazione, di dar luogo a un embrione all’ultimo stadio di sviluppo possibile prima del trasferimento in utero. Ad oggi, infatti, per massimizzare il successo nei trattamenti di fecondazione assistita con donazione di ovociti ci si basa esclusivamente sul loro numero. Il tool oggetto di studio da parte del gruppo Genera potrebbe fornire informazioni importanti anche sulla loro qualità. 

Titolo degli studi: 1. Can artificial intelligence outperform traditional non-invasive assessments in prioritizing euploid blastocysts for transfer? A retrospective intra-cohort analysis of 786 PGT-A cycles.

2. An artificial intelligence-powered tool to score fresh donor oocytes and predict blastulation: interim analysis of a prospective investigation conducted at 3 laboratories.

 

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