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Intramoenia, Cassazione: risarcito il medico che non riceve dalla struttura gli strumenti necessari

Professione Redazione DottNet | 05/02/2024 21:13

Sull’Azienda sanitaria grava l’obbligo di adottare tempestivamente tutte le iniziative necessarie per consentire la realizzazione delle condizioni al cui verificarsi è subordinato l’esercizio di tale attività

Per il medico ospedaliero che percepisce l’indennità di esclusività, l’esercizio dell’attività intramuraria costituisce un vero e proprio diritto, e quindi l’Azienda Sanitaria di riferimento ha l’obbligo di apprestare tutti gli strumenti necessari perché questa attività possa essere compiutamente ed effettivamente esercitata. Il principio è stato espresso dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35056, pubblicata il 14 dicembre 2023.

Il medico interessato aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello che aveva respinto la sua domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno per l’illegittima sospensione dell’attività professionale intramoenia, avviata in via sperimentale.

La decisione della Corte d’Appello era fondata sull’art. 15-quinquies, comma 4, del Decreto Legislativo n. 502/1992, che a suo avviso non attribuiva ai dirigenti sanitari un diritto soggettivo perfetto allo svolgimento dell’attività intramuraria, essendo rimessa alle scelte organizzative dei vertici aziendali la determinazione delle unità che possono esercitare la propria attività anche in privato. La Suprema Corte ha ribaltato questo orientamento. Per la Cassazione, il dirigente medico a tempo indeterminato in regime di esclusività è invece titolare di un diritto soggettivo allo svolgimento di attività libero-professionale intramuraria, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva. 

La conseguenza dell’affermazione di tale diritto è che sull’Azienda sanitaria grava l’obbligo di adottare tempestivamente tutte le iniziative necessarie per consentire la realizzazione delle condizioni al cui verificarsi è subordinato l’esercizio di tale attività. Le Aziende Sanitarie Locali, dice quindi la Cassazione, non sono dunque libere di attivare o meno l'attività intramuraria, ma hanno una discrezionalità limitata alla selezione degli spazi. Per questo motivo, l’inadempimento dell’Azienda costituisce un legittimo presupposto perché il medico possa richiedere il risarcimento del danno, la cui esistenza va comunque provata e documentata, anche per stabilirne l’entità. 

La Cassazione fa rilevare che l’art. 1 della legge n. 120/2007 ha inoltre fatto carico alle Regioni di predisporre le strutture necessarie per consentire al personale medico lo svolgimento dell’attività intramuraria, consentendo, in mancanza di tali strutture ovvero nel periodo necessario alla loro realizzazione o individuazione, di reperire spazi sostitutivi in strutture non accreditate, ovvero di utilizzare, in presenza di idonea autorizzazione, anche studi professionali privati. La medesima disposizione ha inoltre stabilito che le Regioni debbano garantire, attraverso proprie linee guida, che le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta, e gli IRCCS di diritto pubblico gestiscano, con integrale responsabilità propria, l’attività libero-professionale intramuraria al fine di assicurarne il corretto esercizio.

In considerazione della notevole conflittualità fra medici ed amministrazione sul tema delle prestazioni intramurarie (le strutture spesso non corrispondono alle richieste dei professionisti che vogliono svolgere questo tipo di attività), è facile prevedere che questa sentenza sarà spesso citata in diffide e ricorsi di sanitari su tale argomento.

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