Il legale reclamizzava sulla sua pagina social la propria attività professionale in materia di risarcimento danni per responsabilità medica mediante una foto raffigurante un medico in manette
Di slogan pubblicitari contro i medici se ne sono visti molti: “Se pensi di aver conseguito un grave danno derivante da casi di malasanità, contattaci subito per una valutazione del tuo caso - zero spese di anticipo pensiamo a tutto noi”. Se poi si aggiunge anche un'immagine il danno è ancora più pesante, come accaduto ad un legale che sulla sua pagina social, reclamizzava la propria attività professionale in materia di risarcimento danni per responsabilità medica mediante una foto raffigurante un medico in manette.
Il Consiglio Distrettuale di Disciplina considera tale iniziativa contraria ai principi di corretta informazione e al divieto di accaparramento di clientela. Una simile pubblicità appare comparativa ed autoelogiativa, nonché svilente della funzione pubblicistica della difesa. Inoltre, il messaggio veicolato tramite l’immagine del sanitario ammanettato viola i doveri generali di correttezza, probità, dignità e decoro e comporta, altresì, la violazione di fornire un’informazione corretta, non denigratoria né suggestiva.
Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 65 del 13 maggio 2022 (clicca qui per scaricare la sentenza completa), ribadisce - si legge su Altalex -che costituisce illecito deontologico la condotta dell’avvocato che, per acquisire clienti, “reclamizzi” il proprio studio utilizzando l’immagine di un medico ammanettato a corredo dell’offerta di prestazioni legali a tutela dell’ammalato, sia sui social che su cartelloni affissi nei pressi dell’ospedale. Un simile comportamento è contrario ai principi di correttezza, probità, dignità, decoro (art. 9 CDF), nonché lesivo del dovere di fornire un’informazione corretta, non denigratoria, né suggestiva (artt. 17 c. 2 e 35 c. 2 CDF).
La vicenda
Un avvocato “pubblicizza” sulla sua pagina Facebook la propria attività professionale in materia di risarcimento danni per responsabilità medica mediante un’immagine raffigurante un sanitario, in camice bianco e con stetoscopio, in manette. Inoltre, l’avvocato fa affiggere dei cartelloni pubblicitari all’esterno del locale ospedale con il seguente messaggio:
“Se pensi di aver conseguito un grave danno derivante da casi di malasanità, contattaci subito per una valutazione del tuo caso - zero spese di anticipo pensiamo a tutto noi”.
Il segretario generale della federazione CISL medici segnala al consiglio dell’ordine degli avvocati la condotta dell’avvocato ritenendo tale “propaganda” lesiva della categoria dei medici e lo stesso COA svolge approfondimenti relativi alla presenza della cartellonistica pubblicitaria.
Viene aperto un procedimento disciplinare.
Il legale si difende affermando di aver rimosso la pagina web, precisa che la scelta dell’immagine (il medico in manette) è stata operata in autonomia dal web master e, infine, che la pagina è rimasta visibile solo per tre giorni. Per quanto attiene al cartellone pubblicitario, la professionista non lo considera offensivo o denigratorio della categoria dei medici.
Il Consiglio Distrettuale di Disciplina ritiene che la violazione di molteplici canoni deontologici da parte della professionista, la loro gravità, la compromissione dell’immagine del ceto forense e lo strepitus fori giustifichino l’applicazione di una sanzione aggravata, consistente nella sospensione dall’attività per 5 mesi.
Le norme deontologiche violate e i due capi di incolpazione
Il Consiglio territoriale contesta alla professionista due capi di incolpazione per aver violato:
Secondo la decisione emessa dal CDD, riporta Altalex, il messaggio apparso sulla pagina social è denigratorio per la categoria dei medici in considerazione dell’immagine associata (un sanitario in manette). Inoltre, i cartelloni pubblicitari rappresentano «un’iniziativa contraria ai principi di corretta informazione e al divieto di accaparramento di clientela, laddove il messaggio di poter usufruire di una prestazione gratuita induce il potenziale cliente ad attendersi una professionalità maggiore rispetto a quella offerta da altri professionisti, risultando comparativa ed autoelogiativa e svilendo al contempo la funzione pubblicistica della difesa».
“Zero spese di anticipo”: pubblicità ingannevole, comparativa e autoelogiativa
Lo slogan pubblicitario presente sui cartelloni relativo all’assenza di spese di anticipo (“[…] zero spese di anticipo pensiamo a tutto noi”) è espressione di un’informazione comparativa e suggestiva. Infatti, suggerisce al potenziale cliente l’opportunità di poter fruire di un servizio gratuito e, quindi, di ottenere una prestazione più conveniente di quella offerta da altri professionisti del settore. Il CNF sottolinea il disvalore deontologico dell’offerta di prestazioni professionali diretta unicamente a sottolineare i vantaggi economici senza specificare i servizi effettivamente offerti «in quanto orientata a suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commerciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico» (CNF 75/2021; CNF 23/2019; CNF 208/2017).
Una pubblicità simile è per sua natura comparativa poiché pone in evidenza “caratteri di primazia in seno alla categoria” e, pertanto, risulta incompatibile con la dignità e il decoro della professione oltre che con la tutela dell’affidamento della collettività. Da quanto sopra emerge che tale condotta risulta lesiva del divieto di accaparramento di clientela (art. 37 CDF).
Immagine con medico in manette a corredo di prestazioni legali: illecito deontologico
Il CNF rileva come l’immagine del medico ammanettato a corredo dell’offerta di prestazioni legali sia denigratoria della categoria dei sanitari, in quanto evoca l’associazione tra lo stato di malattia e la condotta criminale del medico. Inoltre, l’avvocato nell’esercizio della propria attività deve osservare i doveri di lealtà e correttezza non solo verso la parte assistita ma anche nei confronti dei terzi e della controparte. Infatti, «il dovere di lealtà e correttezza nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni Avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’Avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività» (CNF 249/2020). Il Collegio ritiene che il messaggio trasmesso tramite l’immagine su descritta violi i doveri generali di correttezza, probità, dignità e decoro (ex art. 9 CDF) e comporti, altresì, la violazione di fornire un’informazione corretta, non denigratoria né suggestiva (art. 17 c. 2 e art. 35 c. 2 CDF).
Illecito disciplinare ed elemento soggettivo
L’avvocato sostiene che la scelta dell’immagine da inserire sul social network sia stata effettuata dal web master e che il cartellone pubblicitario sia stato realizzato senza seguire le sue direttive, pertanto, contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo.
Il CNF considera prive di pregio le censure svolte dall’incolpata, infatti, ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare è sufficiente la cosiddetta suitas della condotta. Con tale espressione si intende la coscienza e volontà dell’atto che si compie, «l’evitabilità della condotta, pertanto, delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità» (Cass. SS. UU. 30868/2018; CNF 209/2021). Quanto esposto vale anche con riferimento alle condotte omissive, come nel caso in esame in cui l’incolpata – a suo dire – avrebbe omesso di vigilare sia sul contenuto della pagina social che su quello del cartellone.
Conclusioni: confermata la responsabilità ma ridotta la sanzione
Il codice deontologico indica una serie di parametri alla luce dei quali graduare la sanzione. L’oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato; la sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all’eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, nel cui contesto è avvenuta la violazione, infine, al pregiudizio arrecato alla parte o alla classe forense (art. 21 CDF).
Ebbene, il Consiglio territoriale ha rilevato la contestuale violazione di più regole deontologiche, la volontarietà dell’azione – intesa come coscienza e volontà – e il clamore evocato dalla vicenda. La determinazione della sanzione non è il portato di un calcolo matematico ma è frutto di un bilanciamento, essa può essere inasprita nel caso di particolare gravità e di precedenti condanne disciplinari. Nella fattispecie in esame, il Collegio ha rilevato come l’incolpata abbia affidato a terzi l’incarico di pubblicizzare la propria attività dimostrando disattenzione sull’informazione che veniva veicolata. È pur vero che ella ha rimosso la pagina Facebook ma non tanto per la consapevolezza dell’inadeguatezza dell’immagine utilizzata quanto più per le doglianze ricevute dai medici. Per quanto attiene al cartellone che reclamizza l’assenza di esborsi, ella sostiene che la sua intenzione fosse limitata ad offrire una prima consulenza gratuita e null’altro, in tal modo dimostrandosi «del tutto insensibile rispetto al tema della sollecitazione alla clientela con modalità incentrate sugli aspetti economici, idonee ad esercitare una captazione suggestiva e intrinsecamente comparativa». Secondo il CNF, la decisione gravata ha correttamente irrogato la sanzione ablativa della sospensione ma in misura eccessiva, pertanto, viene confermata la responsabilità disciplinare dell’avvocato ma ridotta la sospensione dall’attività professionale da 5 a 2 mesi.
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