Tutto ruota attorno alle case di comunità e ai fondi del Pnrr. Per gli assessori alla Salute così com'è la medicina generale non ha più senso
Il sistema della medicina generale va riformato. E' la parola d'ordine che circola tra gli assessori regionali alla salute che lunedì sera hanno firmato un documento (clicca qui per scaricare il testo completo) che vuole introdurre una rivoluzione in un settore, quello appunto dei medici di famiglia, molto potente e ascoltato (come tra l'altro ha svelato l'inchiesta di Milena Gabbanelli pubblicata la scorsa settimana sul Corriere della Sera). Al centro di questa svolta epocale c'è la dipendenza alle Regioni o di accreditarli oppure infine di avviare un regime misto. Nel documento si fanno varie ipotesi sul futuro inquadramento dei dottori ma c'è un punto fermo: il rapporto fiduciario con i pazienti deve restare perché tutti i cittadini continuino ad avere un medico di famiglia o un pediatra di riferimento. Insomma per gli assessori alla fine dovrà essere diversa la condizione professionale dei medici e dei pediatri di famiglia.
Il documento parla chiaro: l'obiettivo - com'è noto ormai da anni - è di portare, quando possibile, le cure a casa dei cittadini o comunque vicino, in ambulatori e presidi sanitari diffusi nelle città e nei paesi. Ecco, dunque, le "Case della comunità", l'unico modo, secondo gli assessori regionali, per dare una risposta ai cittadini "anche perché è già stato avviato un investimento non indifferente su queste strutture". Ma gli esponenti degli enti locali aggiungono altro precisandi che per come è organizzata oggi, la medicina generale "non riesce ad essere valorizzata all'interno dei sistemi regionali, diventando un ostacolo al percorso di sviluppo e strutturazione". E non è tutto: si tira in ballo anche un sistema di controllo che per quanto riguarda la convenzione "non si contempla un sistema di valutazione che abbia delle effettive ricadute e possa costituire un incentivo". Ovvero non è possibile intervenire su chi sbaglia o non fa il proprio dovere.
Un altro elemento di contestazione riguarda la pandemia: "il profilo giuridico del medico di medicina generale e del pediatra, liberi professionisti convenzionati, non è idoneo ad affrontare il cambiamento in atto". Questo anche perché dopo la pandemia si dovranno gestire i cronici, l'aumento dei fragili, programmare l'assistenza domiciliare eccetera. "Gli accordi nazionali sottoscritti a sostegno delle azioni delle regioni per fronteggiare la pandemia, su tamponi, vaccinazioni, test rapidi, hanno prodotto scarsi risultati". E sono andati meglio i medici organizzati in società cooperative, si legge su Repubblica. Sono state le Usca, le unità di giovani camici bianchi messe in piedi dalle Asl per andare al domicilio dei malati di Covid, a "sopperire alle difficoltà della medicina generale di organizzarsi autonomamente nel fornire un effettivo supporto per la sorveglianza attiva dei propri assistiti". Cioè i medici non hanno seguito abbastanza i pazienti a casa. "L'attività di sorveglianza, che ha gravato enormemente il lavoro dei dipartimenti di sanità pubblica delle Asl, avrebbe dovuto essere effettuata dai medici e dai pediatri ma non esiste uno strumento contrattuale/normativo che permetta alle aziende sanitarie di coinvolgere questi professionisti, neppure in una situazione così drammatica come una pandemia globale". L'inadeguatezza del servizio è confermata dal drammatico contributo in termini di vite umane fornito dalla medicina generale "sul quale il servizio sanitario riconosce il valore del sacrificio". La medicina di famiglia è stata debole "laddove interpretata in modo isolato". Le forme associative invece "hanno saputo riorganizzarsi in modo resiliente".
Gli assessori poi affondano, prospettando il cambiamento di status per i medici. Bisogna uscire dalla convenzione e entrare in un "modello che richiami regole chiare e attività esigibili, con sistemi di monitoraggio e remunerazione legati a risultati di salute e attività svolte". Il tutto dovrà comunque avvenire con un confronto "a tutti i livelli", locali e nazionali, con i rappresentanti dei professionisti. Qualunque sia l'inquadramento che si sceglierà ci sono comunque delle condizioni che devono essere garantite. Le Regioni pretendono alcune cose. Intanto, tra l'altro, chiedono l'obbligo di partecipare alle forme organizzate, cioè gruppi di più professionisti, e comunque di essere inseriti nelle strutture create dal Pnrr e cioè le "case di comunità". Andranno fornite le prestazioni programmate da Regione e Asl. L'assistenza domiciliare sarà una parte integrante dell'attività e non saranno pagati extra i singoli interventi a casa dei pazienti. Andrà poi ridefinita la guardia medica, della cui riforma si parla da anni.
Gli assessorati ipotizzano vari scenari per il futuro di questi medici. O passarli alla dipendenza, o accreditarli, anche facendo accordi specifici. C'è poi un doppio canale, che mescola i due status. "Idealmente una revisione della assistenza primaria potrebbe prevedere la coesistenza in prospettiva di diverse modalità di relazione, in modo da valorizzare al massimo le opportunità presenti nei diversi contesti regionali nell'ottica di dare una risposta efficace agli specifici bisogni delle comunità".
Ma vediamo nel dettaglio che cosa propongono le Regioni
Insomma dalle Regioni come del resto avevamo già anticipato la convenzione così com’è non può più restare in piedi. Ma gli Enti locali, che a quanto si apprende inizieranno a breve un’interlocuzione col Ministero della Salute sulla questione, hanno presentato 4 proposte:
- Dipendenza
- Forma di Accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN
- Forma di Accreditamento e Accordi (tipo Privato-Accreditato)
- Doppio canale: Dipendenza e Accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN.
Ma a prescindere da quale sarà la soluzione dettano anche alcuni capisaldi come l’obbligo di partecipazione a forme organizzate, la fornitura di prestazioni programmate dalla Regione e dall’Azienda Sanitaria e indicatori di garanzia di presa in carico (accountability). Ma non solo, l’assistenza domiciliare dovrà essere parte integrante dell’attività, bisognerà superare il pagamento di PIPP e della remunerazione dei singoli interventi domiciliari. E soprattutto l’obbligo di inserimento nelle strutture del PNRR (vedasi Case della Comunità), la ridefinizione della Continuità Assistenziale (ex Medico di Guardia) e la presenza e ruolo Infermiere di Comunità.
Ecco le quattro proposte
Dipendenza ma con libertà di scelto del medico da parte del cittadino.
In questo caso vi sarebbe una collocazione organica in un modello organizzativo, omogeneo su tutto il territorio nazionale, con garanzia di inserimento dei MMG nelle strutture come ora definite anche dal PNRR: Case di Comunità, Ospedali di Comunità, Centrali Operative Territoriali, riporta Quotidiano Sanità. “Questa ipotesi – spiegano le Regioni - potrebbe andare incontro alla copertura delle sedi dislocate in aree ad oggi non gradite dai MMG, anche se tali aree poi risulterebbero comunque difficili da coprire in assenza di una programmazione nazionale sull’accesso ai corsi di formazione specialistici adeguati, come già avviene per le aree disagiate di altre attività mediche, in una situazione di scarsa offerta di risorse umane. Programmazione delle attività coerente con gli obbiettivi regionali e Aziendali. Applicazione di sistemi di valutazione consolidati e maggior governo dei professionisti”. Ma questa soluzione presenta anche delle criticità. “In questo caso – prosegue il documento - è necessario un atto normativo nazionale che renda compatibile l’incremento della dotazione organica con i tetti di spesa del personale e permetta l’inquadramento dei MMG nella dipendenza anche se non possiedono un titolo di specializzazione. Per allargare la platea dei dipendenti in assistenza primaria sarebbe inoltre opportuno un decreto che specifichi le equipollenze fra alcune specialità e l’attestato del CFSMG”. Altra criticità è che “questa ipotesi richiederebbe un iniziale importante investimento in quelle regioni che non hanno già investito nella rete delle strutture territoriali, prevedendo di fornire ambienti, strumentazioni e personale di supporto alla Medicina Generale. Andrebbe fatta una valutazione relativa al costo del lavoro e alla necessità di aumentare significativamente gli organici se si applicassero le regole della dipendenza rispetto ad orari di lavoro, tutela di malattia e infortunio, ferie. Tale aumento di organico risulta difficilmente programmabile nell’attuale situazione di carenza di professionisti”. Altra criticità importante “è quella previdenziale dove nel tempo andrebbe considerata la ricaduta su ENPAM del passaggio di quota parte dei medici di assistenza primaria, sempre più rilevante numericamente, alla contribuzione INPS, anche valutando la possibilità che per il ruolo specifico venga mantenuta la contribuzione ENPAM”.
Forma di Accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN. Lo studio del medico non scompare ma dovrà essere integrato nell’organizzazione regionale e rispondere a criteri prestabiliti
Questa ipotesi sarebbe perseguibile tramite la definizione di un Accordo Collettivo Nazionale con regole più chiare e stringenti per l’accesso alla convenzione con i Servizi Sanitari Regionali. In un ACN più snello “andrebbero definiti i criteri strutturali, organizzativi, di volumi di attività e di qualità delle prestazioni, necessari per l’accesso al convenzionamento con il SSR. Andrebbero poi definite le modalità di verifica programmata per il raggiungimento degli obbiettivi assegnati. La revisione dell’ACN sarebbe sostanziale e dovrebbe eliminare tutti quegli spazi di ambiguità descritti sopra”. “L’ACN – si spiega nel testo - dovrà prevedere l’obbligo dell’adesione ad una forma organizzata per l’erogazione dell’assistenza primaria, con presenza di personale amministrativo, infermieristico e specialisti di riferimento. Tali organizzazioni – alle quali viene affidata l’erogazione dell’assistenza primaria in un dato territorio e su un determinata quota di popolazione – andranno definite all’interno della programmazione regionale/aziendale che terrà conto delle specificità dei vari territori. Un’ipotesi di massimale MMG/popolazione assistita potrà essere 1:2000, con l’inserimento di un medico ogni 1500 abitanti, per garantire un’effettiva libertà di scelta da parte dei cittadini e il conseguente rapporto fiduciario”.
Tra i requisiti da prevedere per le forme organizzate, nel loro insieme e non per il singolo medico, dovrebbero includere, rispetto ad una popolazione di assistiti di riferimento, la garanzia di coperture orarie certe, la previsione di indicatori di garanzia di presa in carico per le patologie croniche, per assistenza domiciliare e di capacità di risposta in caso di emergenze epidemiche, configurandosi così un rapporto più simile ad un rapporto di “accreditamento” del professionista che di “convenzionamento”. Per realizzare questo modello sarà necessario che ciascun medico di famiglia, nello stesso contesto lavorativo, si doti almeno di un infermiere e di una unità di personale amministrativo. Per quanto riguarda lo studio del medico così organizzato, potrà anche essere allocato all’interno delle case della comunità oppure esternamente ad esse, ma funzionalmente collegato con le stesse e con il Distretto. I medici, per garantire le caratteristiche di “accreditamento” sopra richiamate, potranno utilizzare società di servizi (anche sulla base dell’esperienza delle cooperative di servizi di medici già operanti ad esempio in Lombardia ma non solo), che dovranno a loro volta fornire, al medico e all’ Azienda sanitaria locale, specifici standard di garanzia sotto il profilo dell’organizzazione del servizio e dei supporti forniti. Tali standard andranno definiti in modo cogente a livello nazionale per evitare opportunismi.
Ridefinizione della Continuità Assistenziale (ex Guardia Medica)
Per le Regioni “sarebbe più appropriato individuare modelli organizzativi che prevedano un presidio della continuità dell’assistenza, da parte delle forme organizzative sopra descritte di MMG, dalle 8 alle 24, lasciando ad una integrazione 116117 con il servizio del 118 nelle ore notturne, dalle 24 alle 8 del mattino. Va prevista la possibilità, da parte delle regioni, di sviluppare modelli organizzativi/servizi di supporto all’attività dei MMG dalle 20 alle 24”.
Forma di Accreditamento e Accordi: il modello del privato accreditato
Questo modello è basato sui principi di accreditamento e committenza e potrebbe “rappresentare una strada in grado di garantire la rispondenza alle necessità dell’organizzazione dell’assistenza territoriale, prevedendo sistemi più flessibili in grado di stimolare la tendenza ad elevare la qualità del servizio oltre alla spinta verso forme organizzative più adeguate alle singole realtà”. Ma anche qui non mancano le difficoltà: al SSN sarebbe richiesto uno “sforzo in termini di definizione dei requisiti e di maturazione delle competenze di sistema per la gestione delle relazioni contrattuali, oltre che di un sistema di regole in grado di dare continuità al sistema, potrebbe evitare diverse problematiche”.
L’ipotesi, da sostenere con atto normativo di rango nazionale, dovrebbe prevedere:
- Erogazione della Medicina Generale e Pediatria di Libera Scelta esclusivamente in forma associata
- Costituzione di soggetti giuridici accreditabili, che ricomprendono un determinato numero MMG/PLS ed altri professionisti sanitari, e che, fatti salvi i casi in cui sede e strumenti vengano messi a disposizione nell’ambito delle case di comunità, forniscono anche gli strumenti e gli spazi per l’erogazione di prestazioni sanitarie.
- Programmazione regionale per l’affidamento di aree distrettuali da affidare ai soggetti di cui al punto precedente utilizzando lo strumento degli accordi di fornitura che definiscono gli aspetti di servizio e di remunerazione a partire da riferimenti individuati a livello nazionale.
Doppio canale: Dipendenza e Accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN
Anche in questo caso andrebbero attuate le modifiche normative atte a permettere l’assunzione a tempo indeterminato dei medici con il solo attestato CFSMG (oggi solo i medici specializzati possono essere assunti) e a impiegare come medici di assistenza primaria medici specializzati (definizione delle equipollenze), ma la previsione di un doppio canale per le Regioni “permetterebbe di gestire nel tempo il percorso senza dover affrontare tutto il sistema nel suo complesso”. Trattandosi di un doppio canale, dovrebbe accompagnarsi ad una revisione dell’ACN che fissi un sistema di ACN/“accreditamento” che faccia sì che i medici che mantengono lo status convenzionale si attengano agli standard definiti a livello nazionale e regionale. “Si tratterebbe – spiegano le Regioni - di una soluzione che permetterebbe ai più “vocati” di lavorare come dipendenti all’interno del SSR, in strutture regionali (Case della Comunità o luoghi individuati in aree a bassa intensità abitativa) e applicando percorsi e strumenti definiti a livello regionale”.
La Formazione: prevedere il passaggio alle Università
Ma oltre alle quattro proposte nel documento delle Regioni si parla anche della formazione, si legge su Quotidiano Sanità. Tra le proposte vi è quella di valutare il passaggio del CFSMG all’Università (con comunque governo da parte delle regioni e coinvolgimento nella didattica di dirigenti del SSR e professionisti della MG),
Si richiede poi la definizione di equipollenze rispetto alle specializzazioni compatibili con la normativa europea.
L’infermiere di famiglia. Le Regioni evidenziano come esso “è oramai una realtà condivisa dai sistemi sanitari regionali e ne sono state definite le competenze ma va valutata attentamente la relazione con i MMG/PLS, anche a seconda dei modelli regionali più o meno internalizzati. A prescindere dai diversi ruoli che l’infermiere potrà assumere all’interno dell’organizzazione distrettuale, risulta di essenziale importanza la presenza fisica nello stesso luogo di lavoro di MMG e infermiere, professionista, quest’ultimo, che anche in tale assetto organizzativo può implementare la propria autonomia e responsabilità.
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