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Le voci di donne contro il tumore ovarico, l'8 maggio la giornata

Oncologia Redazione DottNet | 07/05/2020 12:28

Di tumore ovarico si ammalano ogni anno poco meno di 300mila donne in tutto il mondo, 760mila convivono con la malattia e il tasso di sopravvivenza a 5 anni nei paesi industrializzati va dal 36 al 46 per cento

Voci di donne che si uniscono per diventare ancora più potenti e cambiare il futuro del carcinoma ovarico, considerato la più grave neoplasia ginecologica e che a livello mondiale, rappresenta l'ottava causa di morte tra le donne.Sono tantissimi i messaggi lasciati sul muro virtuale (Power Wall) della World Ovarian Cancer Coalition (Wocc) in occasione della giornata mondiale sul tumore ovarico, che si celebra l'8 maggio. Virtualmente, vista l'emergenza legata al coronavirus. Di tumore ovarico si ammalano ogni anno poco meno di 300mila donne in tutto il mondo, 760mila convivono con la malattia e il tasso di sopravvivenza a 5 anni nei paesi industrializzati va dal 36 al 46 per cento, mentre è ancora più basso nei paesi in via di sviluppo.

E in futuro i numeri sembrano destinati ad aumentare: secondo la Wocc entro il 2035 le nuove diagnosi aumenteranno del 55% e i decessi del 70%.

In Italia sono 51mila le donne che convivono con questo tumore e anche nel nostro Paese i numeri sono in crescita: nel 2019, 5300 donne hanno ricevuto una diagnosi di tumore ovarico (erano 5200 nel 2018). Per contrastare questi numeri una speranza risiede nell'informazione e nelle terapie. "Il tumore ovarico - spiega infatti Nicoletta Cerana, presidente di Acto Alleanza contro il tumore ovarico - è una neoplasia molto aggressiva per la quale non esistono ancora strumenti di prevenzione o di diagnosi precoce. L'unica arma per difendersi è l'informazione". La giornata è anche l'occasione per fare il punto sulle nuove terapie rappresentate dagli antiangiogenici (bevacizumab) e dai PARP - inibitori (olaparib, niraparib, rucaparib).

Questi ultimi, utilizzati inizialmente in caso di recidiva sulle pazienti BRCA mutate, ora sempre più spesso vengono utilizzati in prima linea ed è di pochi giorni fa l'approvazione della Food and Drug Administration americana del parp inibitore niraparib come terapia di mantenimento in prima linea anche per le pazienti non mutate, che sono il 70% del totale, opzione che in Italia è già prevista in uso compassionevole, in attesa della decisione di Ema a novembre. Per il futuro, speranza viene riposta nelle combinazioni di immunoterapici con PARP inibitori e/o bevacizumab.

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