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Cassazione: quando il medico collaboratore diventa subordinato

Medlex Redazione DottNet | 30/09/2019 19:23

Il professionista collaboratore autonomo che lavora presso un ospedale e che svolge lo stesso servizio e gli stessi orari dei colleghi medici strutturati a tempo indeterminato va inquadrato come un dipendente a tutti gli effetti

Dalla Cassazione arriva un’ordinanza (n. 23520/2019) di notevole impatto sul mondo del lavoro sanitario: il medico collaboratore autonomo che lavora presso un ospedale e che svolge lo stesso servizio e gli stessi orari dei colleghi medici strutturati a tempo indeterminato, con orari prestabiliti dai dirigenti dell'istituto, deve essere inquadrato come un vero e proprio dipendente a tutti gli effetti.

La vicenda
La Corte d’appello di Roma, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, formalmente regolato da una serie di contratti di collaborazione autonoma, per lo svolgimento di attività di medico ospedaliero. A sostegno della propria decisione, si legge sul sito Responsabilecivile,  aveva posto i seguenti elementi: a) la ricorrente era inserita nel turno unico diurno/notturno, in cui erano inseriti sia i medici con regolare contratto di lavoro subordinato, sia quelli regolati da contratto libero-professionale; b) tale turno era organizzato dal primario sulla base della disponibilità di massima dei medici non strutturati; c) la ricorrente era comandata, come gli altri medici, anche in reparti diversi da quello della Medicina Interna, relativo alla sua specializzazione, per sostituzioni improvvise; d) le prestazioni erano le stesse dei medici strutturati, ma questi ultimi avevano l’obbligo di pronta reperibilità; e) la ricorrente non aveva il badge, ma firmava il foglio di presenza.

La corte territoriale aveva perciò osservato che le differenze tra la posizione assunta da quest’ultima e quella degli altri medici strutturati nell’organizzazione dell’ospedale, erano essenzialmente riferibili ad aspetti formali, amministrativi o marginali (come il badge e la pronta reperibilità), visto che il potere conformativo della prestazione lavorativa era esercitato dal datore di lavoro con modalità indifferenziata nei confronti di tutti i medici inseriti, a diverso titolo, nell’organizzazione della struttura.

Circa la questione, prospettata in via subordinata dall’Istituto appellante, della eventuale riqualificazione del rapporto come singoli contratti a termine, la corte territoriale aveva osservato che seppure l’art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 368/01 consente la stipulazione dei contratti a termine con i dirigenti per una durata non superiore a cinque anni, ciò richiede la stipulazione di un regolare contratto di lavoro subordinato e l’attribuzione della qualifica di dirigente, mentre nel caso in esame il contratto libero-professionale stipulato tra le parti non rispondeva a tali requisiti formali e di contenuto.

La pronuncia della Cassazione
La Sezione Lavoro della Cassazione, con l’ordinanza (n. 23520/2019), ha confermato la sentenza della corte capitolina, rilevando come la stessa non incorresse in alcun vizio di sussunzione nella fattispecie legale di cui all’art. 2094 c.c., atteso che, “ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari.

In particolare, in caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione continua del datore di lavoro, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, cioè l’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere verificata mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice di merito deve individuare attribuendo prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto” (Cass. n. 14573/2012).

Con particolare riferimento a coloro che esercitano la professione medica, la giurisprudenza di legittimità, proprio in casi in cui non era agevole fare riferimento agli ordinari parametri della sottoposizione al potere direttivo e disciplinare del datore, ha ritenuto correttamente motivate le pronunzie di merito che hanno riconosciuto la natura subordinata del rapporto dei medici svolto in cliniche private sulla base di indici, quali il loro inserimento in turni lavorativi predisposti dalla clinica, la sottoposizione a direttive circa lo svolgimento dell’attività, pur tenuto conto che la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione all’intensità della etero-organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del medico con quella dell’impresa, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dell’impresa.

A tal proposito, la corte territoriale aveva fatto corretta applicazione di questi criteri, atteso che le prestazioni rese dalla dottoressa erano interamente predeterminate dagli altri sanitari sovraordinati, che organizzavano il servizio, i turni, le sostituzioni, comandandola di provvedervi anche in reparti diversi da quello della propria specializzazione.

Tale accertamento, coerente con i parametri indicati dalla richiamata giurisprudenza, dà luogo ad una figura professionale caratterizzata dall’esercizio di attività proprie della professione medica, ma giuridicamente articolata secondo la figura della subordinazione prevista dall’art. 2094 c.c.

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