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Cambiare l'identikit ai tumori per renderli vulnerabili

Oncologia Redazione DottNet | 31/05/2019 16:00

Nei pazienti con melanoma, la somministrazione sequenziale di due molecole (guadecitabina e l'immunoterapico ipilimumab) migliora la capacità del sistema immunitario di riconoscere ed attaccare le cellule tumorali

Cambiare al tumore il suo 'identikit' per renderlo maggiormente riconoscibile agli 'occhi' del sistema immunitario, in modo che quest'ultimo possa attaccarlo e distruggerlo. Oggi, infatti, solo circa la metà dei pazienti risponde all'approccio dell'immunoterapia, che fa appunto riferimento all'attivazione del sistema immunitario per combattere il cancro, e la sfida attuale è di aumentare il numero di pazienti che rispondono positivamente. Per farlo occorre appunto 'preparare' il tumore a essere riconosciuto in modo più efficace.

È in questa direzione che stanno lavorando i ricercatori del Centro di Immuno-Oncologia (CIO) del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena diretti da Michele Maio: hanno infatti dimostrato che nei pazienti con melanoma, la somministrazione sequenziale di due molecole (guadecitabina e l'immunoterapico ipilimumab) migliora la capacità del sistema immunitario di riconoscere ed attaccare le cellule tumorali. I risultati dello studio NIBIT-M4, in collaborazione con altri centri italiani ed europei, vengono presentati a Chicago al congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO).

"I risultati ottenuti - spiega Maio, direttore del CIO di Siena e presidente della Fondazione Nibit, che ha sostenuto lo studio insieme all'Associazione italiana per la ricerca sul cancro Airc – confermano la nostra iniziale intuizione sulla necessità di creare le condizioni affinché gli immunoterapici possano agire al meglio. Un passo avanti ulteriore verso la cronicizzazione del cancro". Lo studio, iniziato nel 2015 e che ha coinvolto 19 pazienti con melanoma metastatico, ha innanzitutto raggiunto l'obiettivo di dimostrare la sicurezza e la tollerabilità della sequenza di somministrazione dei due farmaci. Dalle analisi è anche emerso che nel 42% dei pazienti si è verificato un controllo della malattia e nel 26% dei casi una risposta al trattamento. Questi dati, spiega Anna Maria Di Giacomo, coordinatrice della ricerca, "ci indicano che siamo sulla buona strada".

La strategia utilizzata ha cioè previsto la somministrazione di un farmaco, la guadecitabina, capace di determinare modificazioni chimiche nel Dna delle cellule tumorali per poterne modulare l'espressione genica: "Le modifiche generate da questo farmaco – spiega Alessia Covre, coautrice dello studio – fanno sì che le cellule tumorali esprimano, sulla propria superficie, molecole che hanno un ruolo fondamentale nell'interazione tra tumore e sistema immunitario.    Così il tumore risulta maggiormente visibile alle cellule del sistema immunitario del paziente e la guadecitabina - conclude - crea le condizioni ottimali per fare in modo che i farmaci immunoterapici somministrati successivamente possano avere maggiore efficacia".

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