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Il vaccino sperimentale per il cancro alle ovaie è efficace e sicuro

Oncologia Redazione DottNet | 12/04/2018 13:59

Raddoppia la percentuale di sopravvivenza a due anni dalla diagnosi

 Un vaccino personalizzato che allena il sistema immunitario per attaccare il tumore alle ovaie è sicuro e ha avuto risultati incoraggianti, dimostrando di riuscire ad allungare la vita delle pazienti. Sono i risultati, "promettenti, anche se preliminari", pubblicati su Science Translational Medicine, che hanno mostrato una percentuale di sopravvivenza raddoppiata a due anni dalla diagnosi.    Di cancro alle ovaie si ammalano ogni anno circa 4.500 donne in Italia ma i sintomi, come gonfiore e pressione all'addome, sono molto generici, quindi la malattia spesso viene riconosciuta quando è ormai tardi. Questo "killer silenzioso" è più difficile da curare rispetto ad altri tumori. Tuttavia, alcune pazienti mostrano una risposta immunitaria migliore rispetto ad altre. In questi casi quindi un vaccino potrebbe essere in grado di rafforzare la reazione del sistema immunitario, così come è stato dimostrato esser possibile per il cancro alla prostata

 Testando questa ipotesi, ricercatori della Perelman School of Medicine dell'Università della Pennsylvania hanno creato vaccini immunoterapici "personalizzati" per 25 pazienti con diagnosi di carcinoma ovarico recidivante avanzato.

    Per ciascun vaccino sono state utilizzate le cellule dendritiche del sangue, vere e proprie 'spie intelligenti' che identificano gli invasori e li segnalano alle cellule T immunitarie per farli attaccare. Per lo studio, alcune pazienti hanno ricevuto il solo vaccino e altre lo hanno ricevuto in combinazione con farmaci chemioterapici (bevacizumab e ciclofosfamide). La sopravvivenza globale a due anni è risultata quasi il doppio tra le pazienti che hanno ricevuto insieme il vaccino e i due chemioterapici, ovvero pari al 78%, rispetto al 44% dei pazienti che hanno ricevuto i farmaci ma non il vaccino. Inoltre nessuna ha avuto effetti collaterali gravi. I risultati giustificano ora un più ampio studio clinico. 

fonte: Science Translational Medicine

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