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Terapia con testosterone: i miti da sfatare

Urologia Redazione DottNet | 03/04/2018 17:36

Prof. Giovanni Corona
Lisbona, 28 febbraio - 3 marzo 2018

Giovanni Corona, Endocrinologo del Maggiore di Bologna, sarà il nuovo chairman dello Scientific Commettee al congresso ESSM che si terrà a Lisbona dal 28 Febbraio al 3 Marzo 2018 e sarà il nuovo Presidente della Società Italiana di Andrologia e medicina della Sessualità (SIAMS).

Al dott. Corona abbiamo posto alcune domande in merito all’uso della terapia con testosterone.

D. L'uso della terapia con testosterone è stato per anni in un certo senso “demonizzato”: un mito da sfatare quello che fa venire il cancro alla prostata?

R. Che l’uso del testosterone faccia venire il cancro, è un mito assolutamente da sfatare. Purtroppo ciò rappresenta ancora uno dei principali timori che limitano attualmente l'uso del testosterone e deriva da studi pubblicati negli anni 40, attraverso i quali si dimostrò che il blocco della terapia con testosterone era in grado di ridurre le metastasi vertebrali in pazienti con tumore alla prostata. Questa scoperta portò i ricercatori a vincere il Nobel, ma si trattava fondamentalmente di soli due casi.  Questo mito da sfatare si fonda, ancora oggi, sull'utilizzo, forse anche abusato, di farmaci che bloccano la produzione androgenica per il paziente che presenta tumore alla prostata metastatizzato. In realtà, il testosterone, sebbene abbia un'azione proliferante sulle cellule prostatiche, svolge anche un'azione differenziante.

Infatti, esaminando gli studi di popolazione non è stata riscontrata alcuna correlazione tra livelli circolanti di testosterone e tumore della prostata: la terapia con testosterone semplicemente aumenta i livelli di PSA, poiché ha come organo bersaglio la prostata; pertanto, i pazienti che presentano livelli di testosterone bassi, presentano anche bassi livelli di PSA. La terapia con testosterone ripristina il PSA a livelli simili al soggetto con normali valori di testosterone. In effetti, ad un dosaggio sovrammassimale, tutti i recettori sulla prostata per il testosterone vengono saturati e non vi è ulteriore crescita prostatica o aumento del PSA.

Tale teoria, denominata “teoria della saturazione dei recettori”, è stata messa a punto da alcuni ricercatori americani. In altre parole, il trattamento con testosterone in un paziente ipogonadico, determina un aumento del PSA, che rappresenta un segnale della proliferazione prostatica, solo fino al ripristino di normali valori circolati di testosterone. Ulteriori aumenti del PSA non dipendono, pertanto da un aumento della dose di testosterone.

Come detto in precedenza studi di meta-analisi dimostrano che non c'è nessuna correlazione tra livelli di testosterone e tumore della prostata, al contrario esiste una relazione tra bassi livelli di testosterone e tumore aggressivo della prostata proprio in virtù dell’azione differenziante del testosterone. Altra prova che il mito del testosterone sia da sfatare è la realizzazione di studi ongoing di fase III, in cui nel tumore prostatico non più responsivo alla terapia ormonale, viene utilizzato il testosterone per produrre la differenziazione delle cellule non più responsive.

Oltre al tumore della prostata, ritengo opportuno porre l’accento anche su patologie benigne della prostata, come ad esempio l’iperplasia prostatica benigna. Studi recenti dimostrano come questa patologia considerata per lungo tempo un solo problema idraulico legato alla ostruzione delle vie urinarie per una crescita età-dipendente della prostata, possa in realtà essere influenzata dallo stato metabolico e quindi dai livelli di testosterone. In particolare, le malattie metaboliche favoriscono una riduzione dei livelli di testosterone e una infiammazione prostatica che contribuisce all’aumento di volume della prostata.

Studi preliminari portati avanti dal gruppo di Firenze con cui attualmente collaboro, hanno già dimostrato che la terapia con testosterone in pazienti ipogonadici con iperplasia prostatica benigna e sintomi delle basse vie urinarie, si associa ad un miglioramento di tali sintomi, in linea con il miglioramento del grado di infiammazione prostatica. La dottoressa Giulia Rastrelli e il Prof. Maggi (Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi) presenteranno i dati preliminari di uno studio randomizzato in doppio cieco verso il placebo, in cui i pazienti ipogonadici con iperplasia prostatica benigna e sindrome metabolica, venivano randomizzati a testosterone o placebo prima dell’intervento. La valutazione prima dell'intervento ha dimostrato che il gruppo trattato con testosterone presenta un miglioramento dei sintomi delle basse vie urinarie e un miglioramento del grado di infiammazione della prostata confermata poi con intervento chirurgico.

D. Cosa suggerisce in questa sede per un uso appropriato e consapevole dei prodotti a base di testosterone? Una buona percentuale di uomini vive con bassi livelli di testosterone, senza saperlo: quali i rischi e cosa fare per una maggiore individuazione dei deficit di testosterone?

R. I dati attuali non suggeriscono che sia necessario effettuare uno screening generalizzato della popolazione per trovare i soggetti ipogonadici. Nell’uomo, a differenza di quanto accade nella donna, che a causa della menopausa perde sia la capacità di produrre cellule uovo e quindi di avere una gravidanza, sia la produzione di estrogeni, c'è un calo progressivo dei livelli di testosterone. Tale calo può essere più o meno accentuato a seconda della presenza di comorbidità, soprattutto di natura metabolica, come l’obesità e il diabete. La sindrome metabolica sembra accentuare ulteriormente questa caduta dei livelli di testosterone, ma d'altro canto è stato dimostrato che se il soggetto, anche in età avanzata, ha pochi fattori di rischio, il testosterone rimane nella norma.

Quindi è necessario fare uno screening in caso di paziente sintomatico?

I sintomi più frequenti legati alla caduta di testosterone sono i sintomi sessuali. Quando ci sono sintomi sessuali è imperativo valutare i livelli di testosterone prima di iniziare qualunque approccio terapeutico. Se è presente una riduzione dei livelli di testosterone, bisogna intervenire per correggerli. Ci sono dati preliminari che dimostrano come la terapia con i farmaci per la cura della disfunzione erettile, gli inibitori delle PDE5, abbia minore efficacia se il paziente è ipogonadico.

Ripristinare i livelli di testosterone è sufficiente a migliorare l'aspetto sessuale per le forme lievi di disfunzione erettile. Ovviamente quando c'è un danno vascolare importante è necessario aggiungere al testosterone l’uso di altri farmaci più importanti, come gli inibitori delle PDE5.

D. Recenti dati indicano che ristabilire i normali livelli di testosterone influisce positivamente sulle alterazioni del metabolismo (assetto glicemico, lipidico, obesità...): quali le attuali evidenze?

R. Le Linee guida americane sull’obesità pubblicate l'anno scorso e quelle italiane della SIO, Società Italiana dell’Obesità fanno si che i pazienti obesi rappresentino un'altra categoria di pazienti in cui sia utile lo screening della presenza di ipogonadismo. Quali siano i meccanismi con cui le patologie metaboliche inducono l’ipogonadismo non è del tutto chiaro, sicuramente se c'è perdita di peso c'è un miglioramento dei valori di testosterone. È stato dimostrato che in queste categorie di pazienti la terapia con testosterone, se associata ad esercizio fisico, possa migliorare l’assetto che l’outcome metabolico. In conclusione, in un soggetto in sovrappeso, obeso, il 1° approccio deve essere una modificazione degli stili di vita con una dieta sana e l'incremento dell'attività fisica. Il testosterone sembra ulteriormente migliorare questo aspetto proprio agendo sulla componente muscolare: in un soggetto obeso che ha una massa muscolare molto ridotta ed una massa grassa invece molto importante, il testosterone sembra modulare la composizione corporea riducendo la massa grassa e aumentando la massa muscolare, favorendo, quindi, la performance fisica, sebbene gli studi placebo controllati non dimostrino che ci sia una grossa variazione in termini di peso corporeo. Queste modificazioni permettono, tuttavia, un miglioramento del profilo lipidico e del profilo glucidico. C'è da dire che gli studi placebo controllati hanno una durata limitata, non più di 3 anni. Studi di lunga durata, non controllati ma real life condotti in Europa (in particolare in Germania) e anche in Italia dal gruppo del Prof. Antonio Aversa dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, dimostrano, invece, che a lungo andare la terapia con testosterone può addirittura migliorare il peso.

Per quanto riguarda il rischio cardiovascolare della terapia con testosterone, nostri studi di meta-analisi dimostrano, che in realtà tale rischio non sussiste quando il testosterone viene utilizzato secondo le linee guida; al contrario, nei pazienti obesi esso sembra svolgere un’azione preventiva del rischio cardiovascolare sebbene i dati siano limitati a casistiche non ampissime e siano relativi a studi di durata, limitata nel tempo (non più di 3 anni).

D. Siamo all'ESSM, qui ci sono urologi, andrologi, internisti, sessuologi, tante specialità differenti, qual è il messaggio che possa legare le diverse esperienze cliniche?

R. La presenza di tutte queste figure professionali credo che rappresenti uno dei più grossi vantaggi dell’ESSM. Un paziente con disturbi della sessualità è un paziente complesso. Nonostante nell'immaginario comune trattare un disturbo della sessualità nel maschio equivalga a prescrivere una pillola, in realtà non è così. Infatti, recentemente è stato dimostrato quanto sia elevato il drop out, cioè l'abbandono della pillola. In alcuni casi è addirittura superiore al 50% in un anno, pari a circa il 4% al mese. Nel trattare un paziente con disfunzione erettile, bisogna controllare i fattori di rischio e valutare quale sia la terapia più opportuna, poiché ognuna di esse presenta dei vantaggi e degli svantaggi. Qualora il paziente non trovi giovamento con la terapia è chiaro che prima o poi l’abbandonerà. Pertanto è necessaria un'integrazione di più professionisti con varie peculiarità: andrologo, endocrinologo, urologo, psicologo, psico-sessuologo. Spesso è richiesta anche la figura del cardiologo in quanti ci sono importanti dati che dimostrano come la disfunzione erettile, ma anche i disturbi dell’orgasmo, della lubrificazione nella donna, in realtà siano problemi prevalentemente vascolari, rappresentino fattori di rischio per lo sviluppo di eventi cardiovascolari futuri.

D. Ha delle considerazioni finali?

Ci sono evidenze che dimostrano che il testosterone è un farmaco utile quando prescritto in modo adeguato. Molti pazienti presentano sintomi legati alla caduta del testosterone, quali ad esempio la facile affaticabilità, la depressione, la stanchezza, sintomi tipici anche dell'invecchiamento. Prescrivere il testosterone senza effettuare un dosaggio preventivo, e non indagare eventuali importanti comorbidità può far sì che la terapia possa provocare problemi cardiovascolari, a causa dell’aumento della densità del sangue.

Relativamente alla sicurezza cardiovascolare recentemente in Europa ove non si è assistito a questo aumento nella prescrizione di testosterone, l'EMA, ha concluso che non esiste alcuna evidenza che la terapia con testosterone quando prescritta in modo adeguato possa creare un aumento del rischio cardiovascolare. In Europa, contrariamente agli USA dove si è verificato un aumento esponenziale dell’uso di testosterone negli ultimi 15 anni non è consentito realizzare campagne pubblicitarie su malattie e farmaci, ed in secondo luogo i pazienti vengono preventivamente sottoposti a screening da parte del medico di base, che successivamente li invia allo specialista. Sussiste, dunque una forte collaborazione tra MMG e specialista che permette una adeguata diagnosi, una valutazione dei fattori di rischio e un costante monitoraggio del paziente.

LIT.COM.02.2018.3406

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