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Funziona la terapia genica per la malattia dell'olio di Lorenzo

Medicina Interna Redazione DottNet | 09/10/2017 16:53

Si avvera troppo tardi il sogno degli Odone: la famiglia ispirò il film

Purtroppo non è rimasto nessuno della famiglia Odone, protagonista della vicenda descritta nel film 'l'olio di Lorenzo', a gioire della scoperta. Una terapia genica sembra finalmente dare una speranza ai malati di adrenoleucodistrofia, la malattia genetica che ha portato via nel 2008 Lorenzo ormai trentenne, ma anche il padre Augusto è morto, nel 2013, mentre la madre era già stata vittima di un tumore nel 2000. Il trattamento, descritto dal New England Journal of Medicine, sembra riuscire dove l''olio' ha fallito, cioè nell'arrestare l'avanzata della malattia.    L'Ald è una malattia genetica che colpisce un bambino su 20mila, i cui sintomi si manifestano intorno ai 7 anni di età con una prognosi che di solito non supera i 10 anni.

I ricercatori del Children's Hospital di Boston hanno utilizzato le cellule staminali del sangue degli stessi pazienti, inserendo con un virus Hiv inattivato la versione corretta del gene difettoso e reinfondendole poi nel sangue. A due anni dal trattamento su 15 bambini su 17 la malattia si è fermata, mentre in uno degli altri due progrediva troppo velocemente perchè la terapia facesse effetto e l'ultimo ha lasciato lo studio per provare un trapianto di midollo, a cui però non è sopravvissuto.

  "Dobbiamo continuare a seguire i pazienti per vedere gli effetti a lungo termine - afferma David Williams, l'autore principale - ma fino a questo momento il trattamento ha arrestato la progressione della adenoleucodistrofia cerebrale in questi bambini".    Per prolungare la vita a Lorenzo rallentando il decorso inesorabile della malattia, Augusto e la moglie Michaela si improvvisarono scienziati e misero a punto una terapia basata su due comuni olii da cucina. Anche dietro questo traguardo, come per l''olio', c'è la testardaggine di una persona. In questo caso, racconta il New York Times, si tratta di Amber Salzman, una dirigente della GlaxoSmithKline, al cui nipote nel 2000 è stata diagnosticata la malattia, il cui difetto generico era presente anche nel figlio della donna e in un altro nipote. Le sue insistenze con diversi ricercatori hanno portato prima a un piccolo test in Francia, poi alla creazione di una start up per lo sviluppo della terapia che ha collaborato alla sperimentazione di Boston e che commercializzerà il trattamento.    Purtroppo per Salzman la nuova terapia però non potrà aiutare il figlio e il nipote, perchè va somministrata prima che i sintomi diventino evidenti. I due si sono sottoposti ai trattamenti tradizionali.

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