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Germania, metà dei medici di base prescrive farmaci-placebo

Medicina Generale Silvio Campione | 15/03/2011 19:50

Pillole di zucchero al posto di veri farmaci. Metà dei medici tedeschi ha l'abitudine di prescrivere placebo, secondo uno studio dell'associazione dei 'camici bianchi' (Bundesärztekammer, BÄK) del Paese. A quanto emerge dall'indagine, i medici sono convinti che questo sistema, che può prevedere finte compresse, rimedi omeopatici al posto di quelli classici o addirittura 'finta' chirurgia, possa essere efficace contro molti disturbi, in primis quelli allo stomaco e la depressione.

Secondo la ricerca 'Placebo in medicina', in Baviera addirittura l'88% dei medici di famiglia manda a casa i pazienti con una ricetta per così dire 'speciale'. "Il placebo - dice Christoph Fuchs, direttore della BÄK - ha un effetto più forte e complesso di quanto si immagini. E oggi in medicina la sua importanza è enorme". Tanto che l'associazione medica tedesca raccomanda che agli studenti di medicina venga insegnato come utilizzare questo metodo, che può "massimizzare l'effetto delle cure", dice Robert Jütte, autore dello studio e membro della BÄK, "riducendone gli effetti indesiderati e consentendo un uso più oculato delle risorse sanitarie". Nel caso dei disturbi di stomaco, il placebo si è mostrato efficace nel 59% dei pazienti, mentre per la depressione in un terzo dei casi. Il buon funzionamento della 'pillola allo zucchero' dipende da molti fattori, spiegano gli esperti, inclusa la dimensione e il colore della compressa stessa, il suo costo e la sua formulazione: le 'finte cure' più care e quelle somministrate per via endovenosa si sono dimostrate le più efficaci. Importante anche la fiducia nutrita nel proprio medico. Eticamente, il placebo rimane però una zona grigia: pochi medici sanno se è possibile prescriverlo senza incorrere in sanzioni legali. E' per questo che la BÄK ha lanciato la proposta di istituire linee guida internazionali. Per ora, il consiglio dei medici tedeschi è di preferire il placebo solo in situazioni di blandi disturbi.  Medici britannici e tedeschi hanno lavorato su un campione di 22 volontari, sulle gambe dei quali hanno posto un oggetto che emanava calore e hanno chiesto loro di fornire un valore al dolore percepito, secondo una scala da 1 a 100. Li hanno poi collegati ad una flebo in modo da poter velocemente somministrare i farmaci, convenzionali (morfina) e non (privi di qualsiasi principio attivo). Alla percezione del dolore con valore 66 i ricercatori hanno iniettato il potente farmaco a loro insaputa, il dolore è sceso solo di pochi punti giungendo a 55, mentre dopo aver detto loro che gli era stato somministrato un antidolorifico, che in realtà era un placebo, la soglia è scesa a 39.

La terza volta, invece, gli studiosi hanno preannunciato al suddetto campione che non sarebbe stata somministrata morfina, mentre, senza che lo sapessero, i medici avrebbero fatto il contrario. Proprio questa volta, l’ansia dei volontari ha condizionato la loro percezione del dolore, aumentandone la soglia a valori di gran lunga superiori. Alla luce di questa scoperta, anche se condotta su un campione abbastanza esiguo, ma significativo, sorge una riflessione che abbraccia anche il campo della relazione di fiducia che passa tra medici e pazienti. La sincerità negli effetti relativi di un’operazione o di un trattamento predispone il paziente positivamente alla cura, favorendone il buon esito. Provare ad instaurare un legame più stretto potrebbe favorire l’assunzione di un farmaco che possa curare, per esempio, i dolori cronici. Questa è infatti la conclusione a cui perviene il Dr. Ulrike Bingel dell’Amburgo’s University Medical Center che ha collaborato con i ricercatori di Oxford. Il cervello, quindi, reagirebbe alle cure, a prescindere dai farmaci somministrati. Potrebbe addirittura svolgere la stessa funzione di un potente analgesico. Il segreto è nascosto proprio nelle aspettative che i pazienti nutrono per quello specifico trattamento. La stessa Irene Tracey dell’Università di Oxford, che si è occupata dello studio, ha sottolineato l’importanza dell’influenza del nostro cervello nel condizionare l’effetto di un farmaco, amplificandone gli effetti o, addirittura vanificandoli. Comprendere la relazione dei meccanismi biochimici scatenati dall’effetto placebo, vorrebbe dire chiarirne le possibilità di utilizzo grazie alle doti innate nel nostro organismo.

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