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Schizofrenia, un secolo di ricerche: tra vent’anni ne sapremo di più. Legge 180, chiudono gli ultimi tre manicomi

Psichiatria | 10/11/2010 19:47

Vestita ancora del manto di fitto mistero che a lungo ha indotto a confonderla con fantascientifiche possessioni demoniache, ad associarla ingiustamente a pericolosita' e criminalita', la schizofrenia comincia ad alleggerirsi dello stigma dell' ignoranza. La prospettiva e' che di qui al 2030 si avra' un quadro piu' preciso delle cause, finanche a individuare i fattori che la scatenano e, cosi', a prevenirli. E' la previsione sulla rivista Nature che dedica uno speciale alla schizofrenia, a 100 anni da quando si e' iniziato a riconoscerla con questo nome.

 Quale sara' la ''prognosi della schizofrenia'' tra 20 anni? Secondo la prospettiva tracciata da Thomas Insel del National Institute of Mental Health di Bethesda sulla rivista (che dedica al tema la copertina di questa settimana) ci saranno miglioramenti nella comprensione della malattia tali da offrire la possibilita' di prevenirla: ''ripensando il nostro approccio alla schizofrenia verso diagnosi e interventi precoci potremmo ottenere sostanziali miglioramenti della prognosi in una o due decadi''. ''La prospettiva - aggiunge Luigi Janiri, direttore scuola specializzazione in psichiatria dell'Universita' Cattolica di Roma - e' che nel 2030 si arrivi a una comprensione piu' completa delle origini della malattia e dei fattori predisponenti (genetici e non), tale da riuscire a intervenire in modo precoce su individui a rischio e bloccare sul nascere l'insorgenza della psicosi, con interventi sia di tipo sociale (la malattia 'attecchisce' meglio in ambienti disagiati), sia, in un futuro piu' lontato, farmacologici''. Dal greco 'scissione della mente', il termine schizofrenia ha circa 100 anni ed e' stato coniato dal grande psichiatra svizzero Eugen Bleuler che diede un contributo fondamentale alla ridefinizione clinica della malattia, prima nota confusamente come 'demenza precoce'. La schizofrenia e' una psicosi inguaribile nella stragrande maggioranza dei casi (meno del 14% dei casi mostra una ripresa duratura a 5 anni dall'episodio psicotico); si manifesta con deterioramento progressivo della personalita', tendenza a estraniarsi dalla realta', deliri e allucinazioni ed ha il suo esordio nella tarda adolescenza.

Grazie a farmaci di nuova generazione, e' possibile tenere sotto controllo parte dei sintomi quali deliri e allucinazioni. Non e' ancora abbastanza per dare ai pazienti una vita normale (si pensi che in Europa solo il 20% di loro ha un'occupazione), ma il futuro ci riserva molte sorprese: da qui al 2030, spiega Insel, anche grazie a farmaci pensati per l'Alzheimer, si riusciranno a curare anche quei sintomi della schizofrenia che oggi maggiormente precludono al malato il contatto con la realta' e l'integrazione sociale, quali i deficit cognitivi e l'autismo. ''Ci sono prospettive importanti per prevenzione e cura di una malattia che rimane di origine piuttosto misteriosa - sottolinea Janiri: se la vediamo come una malattia che si sviluppa per tappe, spiega, una volta identificati tutti i geni di vulnerabilita' e i precocissimi danni neurologici alla base, infine i fattori ambientali che fanno perno su queste vulnerabilita' innate e precoci e scatenano il male, potremmo riconoscere precocemente i soggetti a rischio, e mettere a punto armi per prevenirla e curarla. Nelle prossime decadi, quindi, la speranza e' individuare strategie, farmacologiche e non, per bloccare sul nascere il male. Si spera anche in nuovi farmaci per curare tutti i sintomi della malattia e permettere ai pazienti di vivere in modo normale e di integrarsi, lavando via definitivamente lo stigma che ancora oggi contribuisce a isolarli, stigma attaccato da una societa' spesso ancora cieca di fronte alla ''lotta eroica di questi pazienti per sopravvivere al caos e al panico interiore in cu li getta la malattia'', conclude Insel.
Intanto  dopo 32 anni dalla legge Basaglia l'Italia dice definitivamente addio ai manicomi. Ultimi a chiudere i battenti, tre ex ospedali psichiatrici del Sud, due in Puglia e uno in Sicilia, istituti privati accreditati che hanno trasferito i loro ospiti, quasi trecento in tutto, in strutture residenziali che adesso dovranno essere nuovamente accreditate dalle Regioni.
La fotografia del superamento definitivo delle strutture ex manicomiali arriva dalla relazione al Parlamento del ministero della Salute, che dal '99 aveva il compito di monitorare l'andamento dei programmi regionali.
Nonostante la chiusura dei manicomi fosse gia' prevista dalla legge 180, infatti, il percorso per arrivare alla presa in carico sul territorio dei pazienti psichiatrici e' stato lento, anche per le difficolta' delle Regioni a reperire il personale e a rendere effettivamente disponibili le piu' 'moderne' strutture residenziali.
La chiusura degli ex ospedali psichiatrici pubblici (75 ancora in vita al censimento del 1996) si era conclusa nel 2005, mentre a quella data (cui risale anche l'ultima relazione del ministero) erano ancora funzionanti quattro strutture private, quella di San Colombano al Lambro (che ha concluso la fase di passaggio degli ultimi 69 pazienti alle strutture residenziali accreditate nel 2007), quello di Santa Maria di Foggia, il Don Uva di Bisceglie e il Villa Stagno di Palermo.
Ora che anche i malati (117 al S.Maria e 158 al Don Uva in Puglia e 18 a Palermo, tutti classificati come 'non psichiatrici') sono stati trasferiti in strutture residenziali interne agli istituti, per Massimo Cozza, segretario della Cgil Medici, che partecipo' all'osservatorio sul superamento dei manicomi, costituito nel '95, 'possiamo dire che finalmente anche gli ultimi manicomi sono chiusi. E' una buona notizia'.
Ma la partita non sara' completamente 'vinta' fino a quando non si risolvera' la questione degli Ospedali psichiatrici giudiziari 'ex manicomi criminali ancora vivi e vegeti, con piu' di 1.000 pazienti ancora tenuti in condizioni disumane, come hanno dimostrato le indagini della commissione d'inchiesta giudata da Ignazio Marino'. Senza contare, aggiunge Cozza 'che non e' ancora concluso in modo adeguato il percorso di costruzione della rete dei dipartimenti di salute mentale sul territorio per tentare di dare risposte esaurienti ed adeguate ai bisogni di salute mentale'. A distanza di 32 anni, insomma, 'serve un impegno maggiore da parte di tutti per attuare i principi ancora validi della legge Basaglia'.

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