Uno studio europeo condotto su oltre 12mila pazienti ha evidenziato che la linea di confine per un cardiopatico ma senza gravi scompensi è di 75 battiti al minuto. Oltre il rischio di mortalità aumenta del 24 per cento e d'infarto del 46 per cento. L'ivabradina fa tuttavia diminuire del 36 per cento il rischio d'infarto e del 30 per cento la necessità di angioplastica.
Occhio al polso: se i battiti sono piu' di 70 al minuto cresce il rischio di infarto. E' questo il nuovo messaggio lanciato dai cardiologi riuniti a Monaco di Baviera per l'annuale Congresso della Societa' Europea di Cardiologia (Esc). A indicare la strada di una ''maggiore attenzione alla frequenza del battito cardiaco'' sono due studi pubblicati dalla rivista The Lancet sul numero di fine agosto: 'Europa' e 'Beautiful', entrambi legati a un nome italiano, quello di Roberto Ferrari, direttore della Clinica Cardiologica dell' Universita' di Ferrara, che proprio durante il congresso di Monaco assume la presidenza dell'Esc, che terra' fino al 2010. ''Il numero dei battiti del cuore - afferma Ferrari - e' il piu' semplice, preciso e meno costoso indice prognostico. E' il modo, o meglio il linguaggio con cui il corpo comunica che qualcosa non va''. E questo concetto e' valido non solo per i cardiopatici a cui si riferiscono i due studi, ma anche per la popolazione sana. Anzi: da oggi, l'alta frequenza del polso deve essere considerata come un fattore di rischio, come il colesterolo o l'ipertensione.
Società scientifiche ed esperti concordano sulla necessità di agire sull’organizzazione e il monitoraggio – anche attraverso i LEA - e sulla comunicazione per un paziente più consapevole
Per colmare questo vuoto, è stato realizzato il Manifesto: “Rischio cardiovascolare residuo: analisi del contesto e delle opzioni terapeutiche, tra innovative strategie di prevenzione e sostenibilità di sistema”
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Il documento ha affrontato il tema dell’aderenza terapeutica nei suoi diversi aspetti, sia a livello mondiale che italiano
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