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L'intervento di cardiochirurgia "Ibrido" riduce il tasso di fallimento del Bypass

Cardiologia Marco Boccalatte | 01/07/2009 11:42

La tecnica della rivascolarizzazione “ibrida” prevede l'utilizzo delle classiche tecniche di cardiochirurgia combinate alle tecniche percutanee (angioplastica). Il paziente viene trattato dalla stessa equipe su alcuni vasi con PTCA e su altri (chiaramente il discendente anteriore) con impianto di innesti arteriosi della mammaria interna.

Questo tipo di intervento ha guadagnato il favore di alcuni gruppi di cardiochirurghi che con mentalità aperta e grande esperienza possono trarre così il meglio di ogni tecnica di rivascolarizzazione per trattare pazienti sempre più complessi in maniera ottimale. La necessità di modificare la tecnica chirurgica nasce dalla considerazione che il classico “graft” venoso in safena ha una durata limitata e nel 30% è già occluso nel 1 anno dall'intervento. Tali risultati sono inferiori anche allo stent coronarico. Un' interessante lavoro è stato svolto dell'equipe di cardiochirurgia della Vanderbitt University del Tennessee che ha praticato oltre 360 interventi ibridi ed è stato pubblicato sulla rivista JACC.

Gli autori hanno analizzato l'efficacia del proprio lavoro chirurgico in sala operatoria con angiografia sistematica appena dopo aver effettuato i bypass. Hanno controllato circa 760 graft venosi e 345 anastomosi con mammaria interna sinistra rilevando che circa il 12% dei graft venosi e l'8% di quelli arteriosi aveva un problema rilevabile alla angiografia subito dopo il confezionamento della anastomosi. Tali problemi sono stati riconosciuti e corretti in sala operatoria sia con tecnica percutanea che chirurgica prima della fine dell'intervento.
Secondo gli autori del lavoro la possibilità di controllare la qualità della anastomosi chirurgica in sala operatoria ha permesso di migliorare i risultati e la qualità della rivascolarizzazione e alla lunga permette di migliorare anche la tecnica chirurgica del singolo operatore. Tale approccio non risulta del tutto nuovo nel mondo della cardiochirurgia. Infatti l’introduzione della tecnica trans esofagea intraoperatoria per controllare la qualità della riparazione valvolare ha permesso un grosso miglioramento dei risultati a distanza ed ha ridotto drasticamente il tasso di re intervento. Gli autori suggeriscono di introdurre un controllo qualitativo e quantitativo ad un intervento chirurgico, quello di rivascolarizzazione, che normalmente non ne ha. Il trattamento “ibrido” prevede di operare i pazienti in presenza di terapia antiaggregante combinata ( clopidogrel + Aspirina) e questo per ora sembra essere il maggiore ostacolo ad una sua più ampia diffusione nelle sale operatorie italiane. Ma la pietra è stata lanciata nello stagno, altri lavori seguiranno questa esperienza americana e siamo sicuri che presto altri chirurghi anche in Italia adotteranno in alcuni pazienti tale tecnica.

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