Ma la Corte rileva che il rifiuto del dipendente ad adempiere una disposizione di servizio è legittimo se conforme a buona fede, valutando le circostanze del caso concreto
Con l’ordinanza n. 1911 del 27.01.2025 (clicca qui per scaricare il testo completo), la Cassazione afferma che il medico in turno di disponibilità non può rifiutarsi di rispondere alla chiamata e di recarsi in ospedale sul presupposto di una non riscontrata urgenza. Lo riporta il sito Lavorosì. In via preliminare la Corte rileva che il rifiuto del dipendente ad adempiere una disposizione di servizio è legittimo se conforme a buona fede, valutando le circostanze del caso concreto. La pronuncia fa riferimento al caso di un dirigente medico di un’azienda ospedaliera sottoposto a sanzione disciplinare (sospensione dal servizio e dalla retribuzione) per non essersi recato in struttura quando in turno di disponibilità e dopo che era stata richiesta la sua presenza.
Il lavoratore, dirigente medico, impugna giudizialmente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per tre giorni, irrogatagli per non essersi recato presso la struttura ospedaliera il giorno 4 ottobre 2015, pur essendo in turno di pronta disponibilità ed essendo stata richiesta la sua presenza per effettuare il giro visite.La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, sul presupposto che il medico reperibile è tenuto a rispondere alla chiamata senza sindacare la necessità della sua presenza in ospedale.
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il rifiuto del lavoratore di adempiere ad una disposizione di servizio è legittimo soltanto se conforme a buona fede. Ciò premesso, per la sentenza, il medico in servizio di pronta disponibilità che venga chiamato a prestare assistenza presso la struttura ospedaliera non può rifiutare la sua presenza e sindacare le ragioni della chiamata. Secondo i Giudici di legittimità, invero, un tale rifiuto sarebbe contrario a buona fede, comportando una interruzione del servizio di assistenza, la cui continuità risponde ad un interesse pubblico prevalente e non procrastinabile. Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal lavoratore, confermando la legittimità della sanzione irrogatagli.
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