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Diabete, autotrapianto di isole pancreatiche da staminali fa regredire la malattia

Diabetologia Redazione DottNet | 27/09/2024 16:48

Sono ancora molto poche le sperimentazioni che utilizzano le staminali per curare il diabete, malattia che colpisce circa mezzo miliardo di persone in tutto il mondo

Una donna di 25 anni con diabete di tipo 1 ha iniziato a produrre la propria insulina meno di tre mesi dopo aver ricevuto un trapianto di cellule staminali riprogrammate. È la prima persona con questa malattia a essere trattata con cellule prelevate dal suo corpo, fatte regredire e poi maturate in cellule del pancreas. I risultati sono pubblicati sulla rivista Cell e la donna, che vive a Tianjing, intervistata da Nature ha detto: "è passato più di un anno dal trapianto" e "ora posso mangiare zucchero". Sono ancora molto poche le sperimentazioni che utilizzano le staminali per curare il diabete, malattia che colpisce circa mezzo miliardo di persone in tutto il mondo. In chi soffre di diabete di tipo 1, in particolare, il sistema immunitario attacca le cellule delle isole del pancreas. Nell' esperimento il gruppo di ricerca guidato da Deng Hongkui, biologo cellulare della Peking University di Pechino, ha estratto cellule da tre persone con diabete di tipo 1 e le ha riportate a uno stato pluripotente. Una volta tornate in questa condizione indifferenziata, dalla quale le cellule possono essere fatte sviluppare in qualsiasi direzione, sono state generate isole del pancreas. A giugno 2023, in un'operazione durata meno di mezz'ora, i ricercatori hanno iniettato l'equivalente di circa 1,5 milioni di cellule così riprogrammate nei muscoli addominali della donna. Due mesi e mezzo più tardi la donna produceva abbastanza insulina per vivere senza bisogno del farmaco e senza le pericolose oscillazioni dei livelli di glucosio nel sangue. I risultati per le altre due persone coinvolte nella sperimentazione, saranno disponibili novembre.

Sulla base dei risultati, i test potranno essere estesi ad altri individui.

In generale, il trapianto di isole pancreatiche non è una novità. Viene eseguito normalmente utilizzando cellule prelevate da donatore deceduto, che richiedono però il ricorso a immunosoppressori per impedire che vengano distrutte dal sistema immunitario, e che spesso hanno difficoltà ad attecchire sul lungo periodo. Per tutti questi motivi, la procedura è riservata unicamente a pazienti che hanno difficoltà a controllare la glicemia con le terapie tradizionali, e per i quali il rapporto rischi benefici risulta positivo nonostante la necessità di ricorrere a vita agli immunosoppressori. Con l’autotrapianto sperimentato dai ricercatori cinesi tutti questi problemi scomparirebbero, e il trattamento potrebbe essere esteso a una platea molto più ampia di pazienti. Sempre, ovviamente, se i risultati verranno confermati con studi di portata più ampia, e con un follow up ben più lungo. I limiti Nonostante i risultati promettenti, lo studio cinese non è esente da limiti. Tra questi, il fatto che la paziente scelta fosse già in terapia con immunosoppressori a causa di un precedente trapianto di fegato, che ha impedito di verificare se l’autotrapianto metta effettivamente al riparo dall’attacco del sistema immunitario le isole pancreatiche. Così come la breve durata del follow up, che dovrebbe prolungarsi per diversi anni per poter dare qualche certezza sull’effettiva efficacia a lungo termine della procedura.

La sperimentazione comunque continua, e dovrebbe presto fornire nuovi risultati. Nel frattempo, la ricerca nel campo del trapianto di isole pancreatiche si muove anche in molte altre direzioni. Ad aprile, ad esempio, è stato pubblicato il resoconto di un intervento simile, realizzato sempre in Cina su un paziente affetto però da diabete di tipo 2 (potenzialmente più facile da trattare in questo modo perché esente dalla componente autoimmune che caratterizza i pazienti con diabete di tipo 1).

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