Usava il ricettario del Ssn anche per i pazienti che assisteva in libera professione
Faceva visite in libera professione e poi prescriveva farmaci a carico del servizio sanitario nazionale, attraverso le cosiddette “ricette rosse” che invece avrebbe dovuto usare solo per i pazienti che gli erano stati assegnati dalla Asl. Con questa accusa un medico di medicina generale di Firenze, di 59 anni, è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 56.000 euro alla Asl Toscana Centro. Lo riporta il quotidiano Il Tirreno. Per gli stessi fatti il professionista in passato ha patteggiato una pena di due anni davanti al giudice penale.
L’accusa della procura contabile
In base all’accusa formulata dalla procura contabile, il cinquantanovenne, «medico chirurgo in regime di convenzione con l’Asl, avrebbe prescritto abusivamente una serie di farmaci con il ricettario del Ssn (ricette rosse) a pazienti iscritti nelle liste di altri medici e trattati in regime di attività libero professionale, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2015». Nel corso del procedimento la difesa del medico, assistito dagli avvocati Camilla Lisanti, Tullio D’Amora e Marta Iacopini, ha sostenuto che non ci fossero prove circa il fatto che le ricette contestate si riferissero a malati non affidati al professionista dalla Asl.
La difesa
La difesa, si legge sempre nella sentenza, «ha evidenziato che, all’annotazione di indagine sono allegati dei fogli in excel, sui quali sono riportati i dati forniti dalle varie Asl in merito alle prescrizioni eseguite tra il 2012 e il 2015, con l’indicazione del paziente, del farmaco prescritto e della data, nonché del medico di medicina generale nella cui lista i pazienti sarebbero stati iscritti al momento della prescrizione. Non risulterebbero però depositati, né in questa sede né nell’ambito penale e/o lavoristico, gli elenchi dei pazienti affidati medico nel periodo 2012 – 2015, né la documentazione dalla quale sarebbero stati ricavati i dati riversati nei fogli in excel». In altri termini, «non sarebbe in alcun modo provato che i pazienti oggetto di contestazione fossero effettivamente iscritti nelle liste di altri medici».
La sentenza
Tuttavia, si legge nella sentenza, «a riscontro della correttezza dell’impostazione accusatoria, sarebbero state acquisite le testimonianze di un centinaio di pazienti, che avrebbero confermato di essere iscritti nelle liste di altri medici di medicina generale, aggiungendo che il convenuto esercitava effettivamente la libera professione, senza rilasciare alcuna ricevuta a fronte dell’incasso dei corrispettivi». Tra le testimonianze raccolte, anche quella di una donna che ha raccontato di recarsi dal professionista perché il suo studio medico era vicino a casa sua: pur non essendo stata ammessa nella lista dei pazienti in convenzione, sarebbe stata destinataria di una prescrizione su ricetta rossa in data 28 luglio 2015. Nel corso degli accertamenti, condotti dai carabinieri del Nas, sarebbe stata accertata l’emissione di oltre 2. 000 ricette irregolari. Sempre nel corso della discussione, il pubblico ministero, ha affermato «che il quadro probatorio sarebbe del tutto completo e coerente, giacché dalla seconda annotazione di servizio dei Nas del 14 aprile 2016, si desumerebbero tutte le attività investigative e gli specifici elementi di prova». «Il confronto tra le ricette e le liste dei pazienti, la cui mancanza è stata evidenziata nella memoria di costituzione – ha precisato sempre l’accusa –, sarebbe stato invece correttamente effettuato».
L’Azienda sanitaria
L’Azienda sanitaria aveva cercato di ottenere il risarcimento dei danni costituendosi parte civile e successivamente, non potendo ottenere una pronuncia in sede penale a seguito dell’opzione dell’imputato per il patteggiamento, agendo davanti al tribunale del lavoro. La sentenza favorevole di primo grado del giudice del lavoro però era stata riformata in appello, con indicazione del difetto di giurisdizione a favore della Corte dei Conti.
Sono ormai abbastanza numerosi, anche fra i medici e gli odontoiatri, i casi in cui, al momento della morte del professionista, il diritto alla pensione a superstiti venga attribuito ad un suo nipote, anche in presenza di genitori viventi.
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