Condannati due camici bianchi per il reato ex art. 589 c.p. per aver cagionato, per imprudenza, negligenza e imperizia, la morte di un paziente per non essersi attenuti nello svolgimento della propria attività alle linee guida
L'errore medico è riconosciuto anche quando si omette di eseguire o disporre ulteriori controlli. Lo afferma la Cassazione nella sentenza n. 15786/2023. Me ecco i fatti, come riporta lo StudioCataldi:
Nella vicenda, due medici venivano condannati per il reato ex art. 589 c.p. per aver cagionato, per imprudenza, negligenza e imperizia, la morte di un paziente per non essersi attenuti nello svolgimento della propria attività alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e aver omesso di effettuare una corretta diagnosi e una corretta valutazione del quadro clinico. a Corte di appello, in riforma della sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, affermata la responsabilità civile dei predetti, li ha condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
Nell'editto accusatorio veniva altresì evidenziato che "le condotte omissive, laddove adeguatamente tenute, avrebbero determinato una corretta diagnosi ed evitato l'evento morte, così come verificatosi, ovvero determinato un evento morte diverso o comunque differito nel tempo". Per il giudice appello, in sostanza era evidente l'errore diagnostico compiuto e aveva errato il primo giudice nell'affermare la correttezza della condotta dei sanitari.
La Corte di ricordava, quindi, il principio di diritto enunciato dalla nota sentenza "Franzese" in tema di nesso causale nei reati omissivi impropri, secondo cui il nesso di causalità deve ritenersi accertato e sussistente, appunto, oltre ogni ragionevole dubbio, "tutte quelle volte in cui con alto grado di credibilità razionale o probabilità logica, dalla diagnosi omessa o dall'intervento terapeutico non effettuato o male effettuato, sarebbe potuta derivare non solo la salvezza della vita del paziente, ma anche una attenuazione del danno prodotto dalla patologia con conseguente ritardo dell'evento morte. Affermava di conseguenza che nella fattispecie a giudizio, proprio sulla base delle conclusioni dei periti del Gip, adeguatamente supportate anche dal perito della parte civile Antico, era ragionevole inferire che l'evento morte avrebbe avuto diverse modalità di verifica e differenti e più estesi tempi di sopravvivenza, qualora i due odierni imputati avessero praticato una corretta diagnosi come pacificamente emerso dall'intera istruzione dibattimentale svolta".
Il ricorso
Avverso la sentenza di appello ricorrono gli imputati, denunciando tra l'altro, carenza e manifesta e logicità della motivazione con riguardo alla ipotizzata cooperazione colposa di cui all'art 113 c.p., presupponendo, in conseguenza, l'esistenza di un legame psicologico tra le condotte dei due. Così facendo, non avrebbe tenuto conto delle distinte posizioni. Inoltre, deducevano insussistenza del nesso causale tra la loro condotta e la morte del paziente, sostenendo che le patologie da cui lo stesso era affetto avrebbero comportato comunque l'inevitabilità del decesso.
La decisione
Per gli Ermellini, riporta il sito dello StudioCataldi, i ricorsi sono inammissibili. Nel caso di specie, la Corte territoriale è pervenuta all'affermazione della responsabilità degli imputati ai fini civili senza rivalutare nel merito il compendio istruttorio, bensì correggendo l'errore di diritto in cui era incorso il giudice di primo grado laddove aveva escluso il nesso di causalità tra la condotta omissiva dei medici, odierni imputati, e il decesso del paziente. Circa la contestazione del ragionamento sviluppato nella sentenza impugnata riguardo la condotta gravemente colposa attribuita ai sanitari che presero in cura il paziente, omettendo entrambi, nelle rispettive qualità contestate nell'editto accusatorio, di approfondire la situazione clinica del paziente e di formulare la corretta diagnosi, ciò basta per "ritenere la cooperazione colposa, ciascun medico essendo consapevole della condotta dell'altro".
Per il resto le doglianze dei ricorrenti si risolvono in deduzioni di mero fatto, non proponibili in sede di legittimità, a fronte peraltro di una esposizione, da parte della Corte di merito, assai chiara e dettagliata dell'intera vicenda con particolare attenzione al parere scientifico formulato dagli esperti. Indiscutibile, ricorda la S.C., "l'errore diagnostico e le conseguenti errate condotte omissive". Sul punto, la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi della sentenza "Franzese", cui nel tempo si sono uniformate le sezioni semplici della S.C.
Va, del resto, riaffermato, concludono i giudici dichiarando inammissibili i ricorsi, che "in tema di colpa professionale medica, l'errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi (cfr. Cass. n. 23252/2019); e che risponde di omicidio colposo per imperizia, nell'accertamento della malattia, e per negligenza, per l'omissione delle indagini necessarie, il medico che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie comunque pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente (cfr. Cass. n. 26906/2019)".
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