Crescono i premi delle polizze. Mancano i decreti attuativi. E intanto i chirurghi scappano: sei su dieci hanno un contenzioso legale
I professionisti della sanità si aspettavano, con la legge Gelli del 2017 sulla responsabilità professionale, di poter essere sgravati da un'inflazione di denunce per 'malpractice' soprattutto nei contenziosi instaurati da pazienti che ritenevano di aver subito un danno. Ma è successo esattamente il contrario. Sono aumentati, nonostante lo stesso onorevole Gelli avesse dichiarato il contrario. La cartina di tornasole per dire che qualcosa non va, per i professionisti, è data anche dal fatto che le assicurazioni hanno aumentato i premi, indice di un aumentato rischio. Gli ortopedici, ad esempio, possono arrivare oggi a pagare molte decine di migliaia euro l'anno di polizza. Lo evidenzia Valter Santilli, professore ordinario di Medicina fisica e riabilitativa alla Sapienza di Roma e fisiatra al Policlinico Umberto I.
Alla legge Bianco - Gelli è dedicato un capitolo di un nuove volume, "Linee guida, buone pratiche ed evidenze scientifiche in medicina fisica e riabilitativa" e il professore ha parlato del tema oggi a Roma, al circolo dei magistrati Corte dei Conti .
Sottopagati, costretti ad un lungo percorso di studi, a turni massacranti e in 6 casi su 10 vittime di un contenzioso legale. I chirurghi in Italia sono sempre più spesso tentati dall'andare a lavorare all'estero, lasciando sguarnite le nostre sale operatorie. A fare il punto sui problemi di una "specie in via di estinzione" il convegno 'Diventare chirurgo generale oggi: una scelta difficile', che si tenuto oggi presso la Sala di Santa Maria in Aquiro del Senato. "In Italia c'e' un'emergenza. Abbiamo 7.500 chirurghi in servizio oggi, ma entro il 2025 ne andranno in pensione 1.300 e a questi si aggiungono altri 1.500 che potrebbero andare in pensione con quota 100. Questo renderà difficile coprire i turni minimi nelle sale operatorie, cosa che già oggi accade in alcune regioni come la Calabria", precisa il presidente dell'Associazione Chirurghi Ospedalieri italiani (Acoi) Pierluigi Marini. A pesare anche il blocco del turnover e problemi che rendono lo svolgere questa professione in Italia sempre meno attraente. "In dieci anni, ha detto Fabio Massimo Cataldo, vicepresidente del parlamento europeo, "sono espatriati diecimila medici, soprattutto in Gran Bretagna e Svizzera. E moltissimi di questi erano chirurghi. Non possiamo non interrogarci sulle cause del fenomeno". Tra queste anche un imbuto formativo che non consente a tutti i laureati in medicina in Italia di iscriversi poi alla scuola di specializzazione.
"Bisogna mettere più soldi - ha detto il viceministro all'Università e ricerca Lorenzo Fioramonti - per far sì che chi è laureato e meritevole possa accedere al percorso di specializzazione. Ma dobbiamo anche migliorare la collaborazione con le regioni e il collegamento tra ospedali e università". A pesare sull'accesso alla professione anche le molte denunce di cui sono vittime: sei chirurghi dieci nel corso della loro vita andranno incontro a un procedimento giudiziario e le pubblicità che incitano a denunciarli veicolano un messaggio pericoloso. "La lite tra paziente e medico - chiarisce Pierluigi Sileri, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato e promotore del convegno - e' spesso causata da un sistema sanitario gravato dai tagli degli ultimi anni, che mettono a rischio cittadini e operatori. Cercare nel medico le cause della malasanità è sin troppo facile. Ma la realtà e' più complessa". Per affrontare il problema, aggiunge, "servono i decreti attuativi per la legge Gelli sulla responsabilità del personale sanitario. Ma anche fondi, perche' era comunque una legge senza coperture finanziarie". A questi problemi si aggiunge il blocco del turnover e una formazione che non prepara ad operare. "Manca la possibilità per gli specializzandi di acquisire competenze pratiche. Bisogna lavorare anche sulla riforma dei piani formativi", denuncia Stefano Guicciardi, presidente di Federspecializzandi.
Sono ormai abbastanza numerosi, anche fra i medici e gli odontoiatri, i casi in cui, al momento della morte del professionista, il diritto alla pensione a superstiti venga attribuito ad un suo nipote, anche in presenza di genitori viventi.
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