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Da Il Sole 24 Ore Sanità: cliniche, nessun vincolo al direttore sanitario.

Medicina Generale Redazione DottNet | 26/09/2008 14:59

Le funzioni attribuite al direttore sanitario di una clinica «possono formare oggetto sia di un rapporto di lavoro subordinato che di un rapporto di lavoro autonomo». Perché nessuna norma impone l’adozione di un determinato tipo di rapporto.

A chiarirlo è la sezione lavoro della Cassazione (sentenza n. 10313, depositata il 21 aprile), annullando con rinvio una sentenza della Corte d’appello di Venezia e accogliendo il ricorso di una casa di cura. Dopo un’ispezione, la clinica si era vista intimare dall’Inps il pagamento di ben 3,5 milioni di euro per contributi e somme aggiuntive relative al periodo dal 1° marzo 1990 al 30 novembre 1996, dovuti per alcuni medici e per il direttore sanitario. Il tribunale di Padova aveva accolto l’opposizione della casa di cura al decreto ingiuntivo, ma la Corte d’appello di Venezia aveva riformato la sentenza, sostenendo che per il solo direttore sanitario era configurabile un rapporto di lavoro subordinato e dunque era dovuto il versamento all’Inps di 276.

057 euro. Adesso la Cassazione sconfessa la pronuncia, ricordando innanzitutto che nessuna norma, né nazionale (ex legge 132/1968) né regionale (ex legge 68/1985), impone per il manager sanitario di una clinica un rapporto subordinato.
A questa figura non è neppure applicabile la disciplina prevista dal Dlgs 502/1992 per il direttore sanitario di Asl e Ao. Di conseguenza, la controversia può essere risolta soltanto guardando al contratto stipulato tra le parti che, nella fattispecie, è autonomo e prevede una collaborazione coordinata e continuativa. Di qui la tesi: la Corte d’appello veneziana ha sbagliato nell’affermare che la prestazione del manager dovesse essere qualificata come subordinata per la sola circostanza che le sue funzioni sono strettamente inserite nell’organizzazione sanitaria. Infatti, «la presenza di un collegamento funzionale (...) non fa venir meno il requisito dell’autonomia che caratterizza detto rapporto e che ne determina la disciplina sostanziale». Tanto più se la volontà delle parti è chiara. La sentenza va dunque cassata. Tocca ora alla Corte d’appello di Trieste riesaminare la vicenda e attenersi al principio fissato da Piazza Cavour.

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